Nemmeno le ossa, di Lorena Lusetti (Damster)

Nemmeno le ossa, di Lorena Lusetti (Damster)

(Attenzione perchè, se tutto il libro è pregno della sferzante simpatia di Stella Spada, il titolo è un concentrato di drammaticità e si capirà solo nelle ultime pagine quanto strazio sia in esso racchiuso)

Al centro di questo romanzo, l’eco cupo delle misteriose parole della Pietra di Bologna, un’iscrizione latina per Aelia Laelia Crispis, risalente probabilmente al XVI secolo. Lorena Lusetti è riuscita ad adattare con vera maestria letteraria, l’essenza della vita sospesa di due figure protagoniste che, colpite da un delitto terribile, sono state private di tutto e condannate ad uno stato che non è vita e non è morte:


né bambina, né giovane, né vecchia
né casta, né meretrice, né pudica
ma tutto questo insieme.
Uccisa né dalla fame, né dal ferro, né dal veleno,
ma da tutte queste cose insieme.
Né in cielo, né nell’acqua, né in terra,
ma ovunque giace,

Al settimo romanzo, l’irresistibile investigatrice Stella Spada sembra proprio essere sulla buona strada per riuscire a raggiungere quel suo intimo e sofferto obiettivo che l’accompagna ormai da diversi anni. E le circostanze sembrano aiutarla. Bloccata da un’ingessatura dal piede all’inguine per una caduta accidentale in bici, la nostra protagonista è costretta a tornare in famiglia. Ogni giorno, viene scarrozzata tra casa e ufficio dall’amorevole Piero, l’ex marito la cui indole, buona, comprensiva, generosa e disponibile – troppo di tutti i precedenti aggettivi – si era rivelata incompatibile con quella di lei, compressa tra le sue due parti opposte, lo yin e lo yang: era stato uno dei motivi che l’aveva spinta ad andarsene. Ma non solo. Più profondo e doloroso era stato il terrore di trasmettere a lui e soprattutto al figlio Simone anche solo un riflesso della parte buia di sé. Ora, però, Simone è cresciuto e lei può concedersi un po’ di tempo con lui.

Stella sorprende, piace, conquista. Perchè simpatica, intelligente, impavida e, sotto sotto, molto sotto ma non tanto perchè i suoi amici non lo sentano, disperata, pentita, preoccupata, indecisa per una vita che non comprende ancora come non abbia saputo governare e che vorrebbe con tutta se stessa (o forse solo con la parte chiara di sè) riuscire a ricondurre nelle righe. È circondata da persone che la comprendono e la amano per quello che è, per la ricchezza di semplicità, trasparenza e abnegazione che la riempiono e, soprattutto, per quel senso di giustizia profondo e assoluto, che non tollera condizionamenti nè compromessi. Quella giustizia che lei stessa ha violato una, due, più volte, e che deve riabilitare ogni giorno nel mondo e dentro di sè.

A conoscerla e comprenderla così bene è, da sempre, Alda, la sua vicina di casa, che ogni giorno sale a “fare le pulizie” (virgolettate perchè, in realtà, a quanto Stella confida al lettore, quando esce lascia la casa peggio di prima per peli e sbavate del cane San Bernardo che la segue ovunque – e che comunque Stella stessa adora come il lettore potrà ben vedere leggendo il precedente romanzo, “Il mistero dei portici di Bologna”). E’ Benito, il barista del locale dove ogni giorno Stella va a colazione e qualche volta anche pranzo o cena, che gioca con lei con battute tra l’ironico e l’ingenuo. Ed è soprattutto Giacomo Puccini, il suo stagista, il giovane che la segue dal sesto episodio (“Il nano rapito”) e che ha instaurato con lei un rapporto bellissimo di lavoro e amicizia, dove affetto, simpatia, sottile ironia s’intrecciano in un legame fortissimo. E’ Giacomo ad accompagnarla nelle indagini, a passare ore e notti con lei o al posto di lei nelle ricerche in rete, a sorprenderla con qualche idea risolutiva che naturalmente Stella fa immediatamente propria. 

Beh, non sempre: nel caso che si prospetta loro all’inizio del romanzo, per esempio, Stella non raccoglie un’intuizione di Giacomo che avrebbe risparmiato loro tante vie tortuose nell’indagine commissionata loro da Antonio Artoni, la cui moglie una decina di anni prima era sparita nel nulla dopo aver lasciato un laconico messaggio nel quale gli raccomandava di prendersi cura della figlia Anna.

Possiamo proprio evitare di aspettarci casi ‘normali’ per Stella. Prima ancora di quello di Artoni, è quello proposto da Lelia Crispi, una signora evanscente nel corpo, nella voce, nello sguardo, in tutto l’aspetto secco del suo corpo, che ha per loro una richiesta davvero sconcertante, quella di ritrovare un oggetto forse smarrito o forse no, che non ricorda dove ha messo. Ricorda bene come fosse fatto perché è ritratto in un quadro di famiglia. Non dice cosa contiene se non che è per lei prezioso e lo deve ritrovare ad ogni costo. Quella figura resterà ammantata di mistero e irrealtà per tutto il romanzo, anche perché la sua casa, dove Stella e Giacomo si recano più volte per fare le ricerche, è una dimora antica di Casalecchio, realmente esistente, chiusa da una cancellata in ferro, mal tenuta, fatiscente, ombrosa e scura, quasi sempre fatalmente rivestita di nubi minacciose, come se il sole si guardasse bene dallo sfiorarla. 

Come nei polizieschi classici, Stella risolve il caso. Tanto più che sono gialli umoristici. E quindi c’è in qualche modo un lieto fine. Ma non si deve dimenticare che il lieto fine va conquistato e a volte deve essere accettato come tale anche un compromesso, una soluzione positiva solo in parte.