“Affari di libri”, di Mariagloria Fontana (Giulio Perrone)

“Affari di libri”, di Mariagloria Fontana (Giulio Perrone)

Mariagloria Fontana, giornalista, scrittrice, radioconduttrice, si propone con questo bel libro contemporaneamente nei tre ruoli: col taglio netto e moderno della giornalista intervista autori e autrici che hanno partecipato al suo programma, contestualizzando il pezzo con un’introduzione che riporta le sue prime impressioni sul protagonista, le circostanze del primo incontro e quelle dell’appuntamento dedicato appositamente a questo progetto, connotazioni fisiche, impatto emozionale, aneddoti. E ne ottiene un effetto molto particolare, quello di restare coprotagonista dell’intervistato di turno, non sparire dietro il microfono o la telecamera, come spesso vediamo accadere, ma mostrarsi davanti a lui o lei, che ne restituiscono l’intelligente empatia, l’originalità delle domande, la capacità di comprendere in anticipo come condurre il discorso per non ferire, per non essere indiscreta. 

Si profilano così dieci atti di un’opera teatrale che accoglie elementi da commedia ed elementi da tragedia. Tutti i personaggi intervistati sono stati scelti volutamente per il loro background complesso, per problematiche personali e familiari tortuose che si sono trasformate in sfide da loro accolte con l’arma della scrittura. 

Le domande sono più o meno simili per tutti e dieci gli autori intervistati, per guidare le risposte su binari tematici precisi: quello del disagio vissuto in qualche momento della vita, a volta ancora avviluppante, quello della cornice loco-temporale della scrittura – dove scrivono preferibilmente, quando e per quanto tempo nella giornata -, quello delle ispirazioni da altri autori, del riconoscimento dell’impulso alla scrittura e, più sotto un profilo più generale e sociologico del perchè si scrive, della natura e del valore delle scuole di scrittura; del legame coi lettori, dell’elaborazione critica del proprio scritto, dei legami affettivi e familiari, del rapporto con la solitudine; dei turbamenti, delle ossessioni, delle paure, dei demoni interiori; del significato profondo e della funzione specifica di ambizione, talento, intuito, ispirazione.

Ogni autore, a turno, tratta quei temi e alla fine emerge un mosaico di concetti importanti, sviscerati nella soggettiva interpretazione individuale, le cui tessere sono le emozioni diverse, positive, negative, ironiche, sofferte, profonde, scanzonate. Ed il mondo di chi scrive, dall’altra parte della barricata rispetto alla posizione del lettore, si dischiude in tante possibilità di impasse psicoemozionali, modalità di resilienza, filtri cognitivi.

Così scopriamo il tormentato rapporto di Teresa Ciabatti con la madre riversato nelle pagine del romanzo “La più amata” dove l’io narrante è l’autrice fagocitata dalla figura di lei che da adolescente rigettava e che si ritrova, ora adulta, a ricalcare sempre più, proprio in quegli atteggiamenti che allora la irritavano. Da qui il suo modo di scrivere come sforzo, costruzione, conquista.

Introdotto da un’aura di raffinatezza, sobrietà e riservatezza, il coltissimo Roberto Cotroneo sostiene che “ogni autore non fa altro che trasformare il proprio vissuto, il proprio inconscio, in qualche cosa che può essere accolta dal lettore (…). I miei libri sono delle storie ma anche le storie di tutti i libri che ho letto, di tutti gli autori che conosco, tutto quello che c’è stato prima di me”.

Viola Di Grado è filtro della vita attraverso la scrittura e viceversa (“C’è una totale coindicenza tra me e la scrittura”), apprendiamo il concetto giapponese di spazio bianco, la pausa, “la distanza tra le cose, tra le persone, tra glielementi architettonici”, concetto che lei ha fatto suo, applicandolo alla scrittura, trovando quel vuoto tra le parole che lasci al lettore la bellezza di intuire una parte di senso del discorso.

Chiara Gamberale ed Emanuele Trevi, un tempo sposati, intervistati separatamente, esprimono ancora tutta la bellezza che ha illuminato il loro rapporto, che stranamente si è asciugato in quanto rapporto amoroso ma in quanto rapporto di amicizia fraterna. Continuano ad essere l’uno per l’altra una sorta di ancora nel mondo: “Chiara è la mia famiglia. Quando vada a casa sua mi sento come quando sto nella mia. Chiara è una mia solitudine. Non mi annoio mai con lei. Chiara è la punta di una piramide affettiva”. E per lei è lo stesso: Emanuele è stato e continua ad essere il rifugio dal tormento della sua vita minata da uno stato depressivo che ormai fa parte di sé. Ma pur mettendo nei suoi libri questa “cupezza che non lascia scampo”, si considera socialmente “una donna ironica che rassicura con la presenza, perché l’ironia è un modo di salvarsi la vita”. 

Lisa Ginzburg trasmette luce perché ha trovato il suo equilibrio sotto il peso del nome importante che porta: “sono una madre, sono un’amica, sono stata una moglie e una compagna di vita. Sono una camminatrice e una che ama fre sport e ascoltare moltissima musica”. Apprezza, “dei regali della vita, un mestiere che si ama per davvero, che riempia e soddisfi” perché “lo stimolo che si può offrire agli altri vibra proporzionalmente all’amore che si porta al lavoro, alle cose che si fanno”.

Il tema dell’uomo che è dietro lo scrittore ricorre nelle interviste e le risposte sono diverse: alcuni parlano di identità distinte, altri, coma Andrea Pomella, di una condizione permanente: “Non smetti mai di essere uno scrittore”. Ma proporio per questa sua tendenbsull’estrema attenzione che va posta quando si citano nei romanzi persone vere, le si trasforma in protagonisti o anche solo comparse. 

Con Nadia Terranova, l’autrice si incontra per la prima volta proprio per questa intervista e la trova “misurata nella scelta di cosa dire e cosa omettere (…), cauta. La voce lieve, posata. Ma poi rivela che dietro “Gli anni al contrario” c’era il suo passato, la storia della sua famiglia. Ed è così che la Nadia di oggi è all’arrivo di un percorso più lungo che parte dal buio dell’infanzia.

Marco Missiroli è disinvolto, spiritoso, schietto nel suo separare le due identità di uomo e scrittore: “Nei momenti in cui non scrivo sono romagnolo. Il che significa allegro, ma anche oscuro (…). Non è buonumore, non è guasconeria, è una forma di attrazione verso la vita che non passa solo attraverso il lavoro della scrittura e da quello intellettuale, ma anche dalle questioni viscerali”. 

Luca Ricci, pisano dalla “fisicità imponente, che ti sovrasta”. E’ il principe dei racconti, convinto che la brevità essenziale: “Chi impara a scrivere una riga perfetta può coltivare grandi ambizioni (…). Ci si allena nella precisione, che per quanto mi riguarda è l’abilità principale di uno scrittore”.

Uomini e donne dietro gli scrittori e le scrittrici. Si terminano le interviste, con la sensazione di un nesso fondamentale che li accomuna. La tentazione e difficoltà insieme a distinguere le due figure che Luca Ricci esprime in modo molto eloquente: “In generale credo che la scrittura protegga lo scrittore dalla sua situazione emotiva contingente. Si scrive un po’ anche per quello, per accedere a una dimensione fuori dallo spazio e dal tempo, e soprattutto fuori dalle beghe esistenziali. Smettiamo di subire la vita e la trasformiamo in letteratura (…). Scriviamo di ciò che non capiamo, che ci ha recato offesa (e l’offesa più grande resta la paura di vivere)”.