Segreti che uccidono, di Riccardo Landini (Newton Compton)

Segreti che uccidono, di Riccardo Landini (Newton Compton)

Terzo romanzo dedicato alla figura di Astore Rossi, indiscutibilmente atipico protagonista di gialli seriali. Non è un investigatore, nè un magistrato, nè un giornalista, nè un poliziotto, né un commissario. Astore è un restauratore. Dopo un’adolescenza compromessa da un arresto con conseguente detenzione di quattro anni per l’assorbimento di una colpa altrui (il romanzo richiama il suo passato), ha interrotto gli studi universitari di medicina ed è diventato un artigiano del legno. Non sorprende il fatto che venga talvolta a trovarsi coinvolto in vicende che ruotano intorno ad oggetti di valore oggettivo o soggettivo.

Come in questo caso: un amico e fornitore abituale, Sergio Candurra, gli sconvolge involontariamente la vita prima consegnandogli, senza dirgliene la provenienza nè il proprietario, una scrivania nel cui cassetto Astore trova alcune monete antiche ed uno strano biglietto sul quale sono elencati otto nomi con una croce nera accanto; e poi, pregandolo di prendersi carico per un paio di settimane della figlia Isabella, di sette anni, la cui madre era morta anni prima e la cui zia che l’aveva tenuta fino ad allora non lo poteva più fare. Astore è una persona introversa, solitaria, ma non insensibile nè irriconoscente. Candurra è un amico che in passato lo ha aiutato, è una persona debole con il vizio del gioco, delle donne e, forse, dell’imprudenza di giocare a giochi più grandi di lui, come deve essergli successo questa volta, perchè sembra essere sparito nel nulla. Solo una lettera fatta pervenire ad Astore in modo del tutto anonimo, testimonierà ad un certo punto della storia, il suo coinvolgimento in affari pericolosi, forse fatali.

Astore non fatica ad affezionarsi alla bambina che, a sua volta, trova in lui un interlocutore non distante, non artefatto, non indifferente: una persona che sa parlare alla pari, che sa capirla, stimolarla, accontentarla quanto basta per non viziarla. Forse proprio la sua solitudine, il suo rifuggire dai più comuni consessi umani, ha lasciato aperta nell’uomo una breccia di tenerezza che la bimba riempie con il suo fare modesto, non capriccioso, fresco e affettuoso: “Di colpo mi resi conto di come le pareti stinte, sulle quali era appeso un vecchio calendario del duemilaotto dedicato a Degas quale unica nota di colore, agli occhi di un estraneo potessero sembrare lo squallido contorno di un appartamento altrettanto spoglio. E mi accorsi pure di condividere quell’impressione. La pulizia delle stanze, il lustro ordinato dei mobili, la disposizione precisa delle poche cose che costituivano l’arredamento non bastavano a rendere vivo quell’ambiente. Tutto appariva come una proiezione della mia anima ripiegata su sé stessa”.

Astore non è del tutto solo. Alcuni anni prima ha preso in casa con sé Oscar, un senza tetto muto che, all’inizio di questa storia, si trova in ospedale dove ha dovuto affrontare cure chemioterapiche per un linfoma. Astore è il suo unico appoggio con i medici, così come Oscar è a sua volta il suo unico vincolo quasi-familiare. Commuove l’attenzione del più forte verso il più debole, il suo prendersi cura dell’altro con affetto schietto.

Ma quando qualcuno manomette la saracinesca del suo negozio e poi tenta di entrare in casa sua, Astore capisce che non può restare lì mettendo a rischio la vita non solo sua ma anche di Isabella.

Approfittando dell’uscita di Oscar dall’ospedale, decide di partire con entrambi per un salutare periodo di ferie, dato anche il clima torrido che in quei giorni di luglio si accanisce sulla città.

Così parte per la collina. Non una collina a caso, forse perché Astore ha una sorta di istinto masochistico inconscio, ma proprio il paese, Bangano, dove risiedevano alcune delle persone che sono nominate sul foglio di carta rinvenuto nella scrivania. Astore è incuriosito dal fatto che quattro di quelle siano morte in circostanze apparentemente casuali più o meno negli stessi giorni.

Là affitta una sorta di baita fatiscente e spoglia che era appartenuta ad un vecchio poeta debosciato che si era lasciato andare dietro al vizio delle donne e dell’alcol, perdendo tutti i suoi averi e suicidandosi nel lago vicino.

La baita è stata poi acquistata dal sindaco che, al primo incontro, in una palpabile sensazione di reciproca diffidenza, lascia in Astore un’impressione di non trasparenza. Ancor più, quando viene invitato con troppa insistenza a pranzo. Se da un lato ha la netta sensazione che il sindaco stia cercando di invitarlo subliminalmente a non farsi domande sulle storie di quel paese, dall’altro quel giorno segna una svolta nella sua vita facendovi entrare una persona speciale, la terza a stringersi intorno a lui dandogli quel senso di famiglia alla quale aveva rinunciato vent’anni prima: “Dopo anni in cui la condizione di isolamento e di deprivazione mi aveva aiutato a ricostruirmi un cammino, seppur non facile, ora mi rendevo conto, all’improvviso, di come non avessi nulla a cui stringermi, nessuno a cui legarmi, a cui chiedere un sollievo, anche solamente una carezza. Il tempo, come un vento incessante nel deserto, aveva coperto di sabbia certe ferite e rivelato altre che non si sarebbero rimarginate facilmente”. Il periodo trascorso in collina fa il resto: una natura modesta, senza pretese né chiasso turistico, gli muove le corde ossidate dell’anima: “Venni colpito dall’incanto della notte. Migliaia di punte di spillo lucenti reggevano il mantello nero sopra il mondo, trasmettendo al contempo messaggi inviati attraverso il cosmo da milioni d’anni. Le montagne respiravano al ritmo del vento, agitando gli abeti, i faggi, gli ontani, ogni singola foglia delle foreste intorno, come una superba capigliatura profumata. I grilli instancabili partecipavano alla festa insieme agli animali notturni i cui richiami, fruscii, sussurri giungevano sparsi a rincorrersi nella valle. Ricordai istintivamente quei versi di Shakespeare: «Allora il cielo sarà così bello che tutto il mondo si innamorerà della notte…»”.

Il finale travolge con il ritmo frenetico di un giallo. E quando tutto è concluso, Astore si ritrova di nuovo solo. Ma non solo come prima: ora c’è in lui qualcosa di nuovo: una mancanza; la consapevolezza che non si basta più e che c’è una persona, ora, che desidera profondamente, con una nostalgia che riempie quel vuoto che prima lo circondava. E’ forse un nuovo inizio.