La terapia del bar, di Paolo Ciampi (EdiCiclo)
Originale la scelta narrativa del monologo in 2^ persona: un lungo, delicato, toccante, divertente racconto dove il lettore è ascoltatore coprotagonista della storia. Ciampi si rivolge a lui, condividendo ricordi passati e pensieri presenti, emozioni passate e presenti, sogni futuri. Eppure, dirà alla fine, “Tu sei il tu che sono io, il tu che se n’è andato al bar mentre io ero inchiodato al computer”. E rivolgendosi al lettore nel quale si identifica, si racconta con quello che è il suo stile, con un sorriso, una pacca sulla spalla, una stretta di mano.
Si sofferma sull’etimologia del nome comune bar che secondo la tesi più accreditata deriva dalla contrazione di barrier, sbarra, in ricordo delle osterie delle prime colonie americane nelle quali una sbarra indicava la parte riservata alla vendita degli alcolici, ai vari sinonimi effettivi o possibili come mescita, pub, caffè, ciascuno con una peculiare portata semantica.
E’ un omaggio a tutto ciò che faceva del bar quello che è stato nella vita dell’autore, a partire dalle brillanti e inconfondibili etichette di Biancosarti, China Martini, Cynar, Vecchia Romagna nelle quali si riflettevano – allora e ancora oggi – pubblicità indimenticabili; i biliardi, che Einstein riteneva “l’arte suprema dell’anticipazione” perchè necessita “del ragionamento logico del giocatore di scacchi e del tocco del pianista da concerto”; il flipper, con le sue luci sfarfallanti e i tintinnii dei punti, il biliardino o calcino, come lo si chiamava più spesso a Firenze, e infine l’indimenticabile juke box che aveva un effetto di socialità potentissimo: “la canzone la scegli tu, poi però l’ascoltano tutti”. Per questo, “i bar sono stati parte importante della tua colonna sonora. Ti hanno permesso di ascoltare la musica degli altri, la stessa che in genere snobbavi”.
Dalle cose alle persone che hanno fatto i bar: sorridiamo alle teneramente ironiche descrizioni della tipica fauna umana, le più diverse per background, provenienza, carattere che il bar, per sua natura sostanzialmente democratico, uniforma: “Dal professore al muratore, dall’avvocato al diseredato, all’interno del bar siamo tutti uguali, e i tempi di attesa per il caffè, il cornetto e la Gazzetta non variano a seconda della nostra posizione nella società (sono parole riportate da Massimo Cerulo dell’Università di Perugia). Indiscutibilmente, “Tra gli esperti da bar spicca l’esperto di tutto, che è come dire l’uomo universale di Leonardo da Vinci trasportato nella nostra epoca. Non c’è argomento su cui non abbia qualcosa da dire, solitamente anche la parola conclusiva. Solo che dopo quella conclusiva c’è sempre un altro argomento a cui transitare”.
“E poi c’è lui, la certezza cartesiana nell’universo caotico e multiforme: non c’è bar senza barista. Se il bar è teatro – e lo è –, è lui, senza ombra di dubbio, l’attore protagonista”. Non uno psicologo, non un amico, qualcosa di diverso e più profondo, incomparabile con altre figure. Anzi, no, forse con il libraio: “l’uno e l’altro non sono equiparabili a un commesso o un impiegato dietro il vetro di un ufficio al pubblico. Il barista, come il libraio, deve saper stabilire una relazione umana (…), imparare un po’ a conoscerti” ma senza invedenza, senza pretenziosità.
Aneddoti coloriti sui avventori e baristi, storie comuni, comunissime, di persone semplici, che diventano nelle mani di Ciampi, racconti tccanti e speciali. Storie vere con profumo d’antico, suoni e rumori caratteristici, parole, gesti, incontri e saluti. Abitudini e sicurezze. Racconti di tutti nati dal racconto di uno. E questa è davvero crescita del singolo verso la socialità.
Di tanto in tanto in intermezzi musicali – nel significato tecnico-musicale del termine – cita brani di canzoni che nel testo richiamano il bar. E da ultima, quella che è da sempre la sua canzone rappresentativa: Heaven dei Talking Heads dall’album Fear of Music: There is a party, everyone is there. When the party is over, it will start again. Will not be any different, will be exactly the same”.