Una donna può tutto, di Ritanna Armeni

Una donna può tutto, di Ritanna Armeni

L’autrice ha voluto raccontare una storia della quale è venuta a conoscenza quasi per caso e che in effetti, almeno in Italia, è pressoché sconosciuta nel vasto repertorio di cronache e resoconti biografici della II guerra mondiale. Particolarmente sensibile alle rivendicazioni femminili,, ha voluto rendere un omaggio sentito e convincente ad un fenomeno noto dal 1941 in poi, in Russia e in Germania, come Nachthexen, le Streghe della Notte.

La cinematografia ci ha presentato donne americane in divisa militare, che occupavano occupare ruoli operativi: infermiere, contadine, operaie, spie. Anche “in Unione Sovietica, almeno un milione di donne erano scese in guerra al fianco degli uominI: infermiere, telefoniste, cuoche e anche soldati, tiratrici scelte (…) Un’esperienza tanto più tragica, in quanto a loro sostanzialmente estranea, imposta da una grande Storia nella quale, a differenza di molti uolmini, non si identificavano del tutto”. Ma in Russia ci fu un impiego di donne, tutte volontarie, di grande impatto sul fronte prussiano. Ispirate dalla pilota Marina Raskova, una sorta di mito per le giovani russe – mito che l’autrice paragona a quello che potrebbero avere le ragazzine di oggi per un cantante o, per essere ancora più attuali, per un youtuber – quando la donna ottiene finalmente da Stalin l’autorizzazione e far entrare le donne in guerra, perché…”una donna può tutto” con l’entusiasmo, la determinazione e la forza di volontà che le contraddistinguono, migliaia di giovani e meno giovani, abbandonano lavoro, studi, addirittura famiglie, per portare il loro contributo a quello che il regime era riuscito a trasmettere con forza, il concetto di patria.

L’Armeni è riuscita a trovare l’ultima Strega sopravvissuta, la novantenne Irina Rakobolskaja, ed a ottenere da lei il racconto di tutta la storia del 587° e 588° reggimento di bombardamento notturno. Così, nella sua casa di Mosca, pomeriggio dopo pomeriggio, insieme alla sua amica Eleonora, traduttrice, e ad uno dei responsabili dei veterani al Ministero della Difesa, Vladimir Aleksandrovič Naumkin. Vispa, lucida, serena, Irina svolge il rotolo del proprio passato, filtrando con l’età e la lontananza, il dolore del quale doveva essere stato a lungo intriso. Le sue parole offrono la visione di un episodio che è iniziato e finito perché dopo la fine della guerra, il regime ha preferito concludere anche l’esperienza del reggimento femminile, lasciando ovviamente nelle protagoniste sopravvissute una rassegnata amarezza. Irina però non indulge sul male, sul dolore, sulle difficoltà, sulla morte. Scivola via da tutto questo e racconta l’entusiasmo, l’imbarazzo e la timidezza con il quale si sono radunate la prima volta presso il comando maschile, la perplessità con la quale hanno dovuto indossare abbondanti abiti e calzature, inventando modi di adattamento. Accentua la capacità di trasformare quel primo ostacolo in una spinta emotiva a trovare una soluzione. Quel momento, in cui sono riuscite a superare l’ironia dei soldati che le osservavano, imponendo loro di non guardarle mentre si vestivano, trasformando la vergogna iniziale in una risata solidale, è stato l’inizio del loro cameratismo. Le streghe hanno saputo portare quel fenomeno così umano e toccante del cameratismo sviluppatosi in trincea  durante la prima guerra, anche nel 588° reggimento. La solidarietà che si crea fra loro è più che amicizia, è affetto e fedeltà basato sulla consapevolezza di essere unite da qualcosa di estremamente profondo: la scelta di arruolarsi, che è stata in tutto e per tutto una scelta autonoma e decisiva, la dedizione agli addestramenti, la capacità di non fermarsi alle prime difficoltà che, come donne, avrebbero sicuramente incontrato, l’importanza di mantenere un’identità sicura di sé proprio per non perdere il confronto con i rivali maschi. E, ancora più importante, l’essere unita l’una all’altra nelle missioni notturne: pilota e navigatrice diventano un’unica mente, quando si tratta di volare su quei minuscoli biplani, prive di paracadute e qualsiasi altro dispositivo di protezione per poter essere il più leggere possibile così da caricare più bombe e sfuggire più rapidamente ai riflettori della contraerea tedesca. Una simbiosi necessaria, che la lucidità di emozioni e sentimenti che caratterizza la personalità della donna, rendeva perfetta e gratificante.