Cilai, di Alba Piolanti
Protagonista di questo libro delicato, scorrevole, commovente, evocativo, è, in fondo, la storia. Non la Storia con la S maiuscola, ma la piccola storia, la storia di singole persone, uomini e donne che hanno vissuto nei primi decenni del Novecento, sopravvivendo alla fame, alla guerra, alla miseria.
L’originale ambientazione del libro è un’ex cartiera che aveva lavorato con gestione familiare a cavallo del secolo per poi soccombere sotto il carro armato dell’industrializzazione. La fine dell’attività non segnò la fine di quel luogo che fu riconvertito in quartiere popolare. Laboratori ed uffici divennero appartamenti affacciati su un cortile interno e sugli ex magazzini. L’autrice si è fatta ascoltatore invisibile, calatosi in questa originale realtà di paese ed ha raccolto le storie dei suoi inquilini. Sono famiglie che finiscono per costituire una sorta di famiglia allargata, unite dal passato della cartiera, da chi ci ha lavorato e dai loro figli: “E’ una vita in comune fatta di silenzi, odori, urla, rimproveri, pianti e risate (…). Tutti vivono e lottano insieme. Si amano e si odiano, si sopportano e si arrabbiano, però non si sentono mai soli. Sanno che gli altri e le altre sono lì, sempre pronti a dividere gioie e dolori, pane e companatico, tristezza e felicità, preoccupazioni e soddisfazioni. Questo li fa sentire persone vive, parte di un mondo accogliente”.
Dopo averci presentato tutte le famiglie in una sorta di elenco di personaggi in forma di opera teatrale, l’autrice lascia parlare loro. Una dopo l’altra si raccontano o vengono raccontate le madri, le figlie, le amiche: sono storie uniche, ciascuna con proprie emozioni, ora felici, ora angosciate, ma sempre caratterizzate da una profonda semplicità. Una semplicità che nasce dall’umile accettazione dell’esperienza altrui come unica maestra possibile.
Armida e Rosalba, le due sorelle così diverse da loro, matura ed equilibrata la prima, scontrosa e introversa la seconda, Malvina ingenua ma decisa a farsi strada da sola, anche a costo di affrontare la città ed il suo ambiente così ostico e diverso, la signora Egle, residuo di una raffinata bellezza che l’ha portata a condurre una vita di piacere e libertà, non però rifiutata dai compaesani proprio per lo spirito di umiltà e rassegnazione che ha sempre avuto; Elvira, già anziana, ex operaia della cartiera ed ora magliaia, tacita madre custode della serenità delle figlie con un rispetto per la loro individualità che oggi stesso non è scontato trovare; la madre di Malvina, così titubante di fronte al fidanzato di città che le fa paura perché non è uno di loro, la vecchia Mariuccia, ormai paralizzata dalla poliomielite, con una vita di stenti, soprusi e disgrazie, che ha voluto e saputo affrontare non con l’aggressività della lotta ad un’ingiustizia subita ma con la spontanea rassegnazione a quella che si ritiene essere la vita per tutti. E in tutte le donne del romanzo c’è lo stesso atteggiamento rassegnato e non violento, umile e disponibile, pronto più a scusarsi che ad accusare. Una sola di loro non accetta fino in fondo la vita che vede intorno a sé, come se non si sentisse armata della sufficiente arrendevolezza e perseveranza per andare avanti nelle difficoltà quotidiane.
Anche gli uomini, figure di contorno, hanno un ruolo preciso, quello di fungere da cornice del quadro delle loro donne: più immobili e meno resilienti di loro, rivelano la loro soggezione inconsapevole alla guida sensibile e forte delle loro compagne.
E Cilai? Chi è Cilai che ha dato il titolo al libro?