Fahrenheit 451, di Ray Bradbury
Libro di una straordinaria capacità immaginativa che ha portato l’autore a prevedere nel 1951 quello che si sta rivelando il mondo del XXI secolo. L’autore immagina un futuro – non tanto – lontano dal suo presente, però, nel quale i libri sono emblema di un crimine, quello della diversità. Non è stato il governo a bandire i libri dalla vita sociale, sono stati gli uomini stessi che pian piano li hanno sempre più segregati, estrapolando dalla cultura pillole via via più misere, superficiali, sintetiche che diventassero assimilabili da chiunque: programmi televisivi e radiofonici onnipresenti, che martellano le persone nelle loro case e all’esterno tramite cuffice, conducendo la loro conversazione, i loro ragionamenti, le loro aspirazioni su vie prestabilite, intrise di semplicità, livellamento intellettuale e obbligo di felicità. Nel mondo di Fahrenheit tutti sono felici, perchè tutti hanno quello che desiderano, o meglio quello che i media hanno saputo convincere di desiderare, e non chiedono niente di più.
Ma sono felici?
Questa è la domanda chiave di tutta la storia, la “scintilla” che fa scoppiare l’incendio nella mente del giovane pompiere Montag. I pompieri, in questa società, non spengono gli incendi (non ce ne sono più, non ce n’è più bisogno), ma li attizzano, bruciando i libri di persone che si ostinano a voler perseguire una cultura più profonda e personale di quella permessa da questa società. E’ la giovane studentessa Clarisse che incontra Montag per caso e comincia a parlargli con sincerità e esuberante istintività, rivelandogli uno spirito di entusiasmo, amore per la vita e coraggio che lo sconvolge. Montag capisce a poco a poco che la sua non è vita: si sente un automa in un mondo di automi e l’episodio capitato a sua moglie Mildred che lui trova in fin di vita per l’assunzione di pillole e che viene salvata da una squadra di pronto soccorso che pare essere abituata a casi come questi, gli rivela tutto l’abisso di insoddisfazione che freme dentro le persone.
Il lungo dialogo avuto col proprio capo Beatty gli chiarisce fino in fondo tutta la storia: “Il mondo si è fatto sempre più gremito di occhi, di gomiti, di bocche. La popolazione è raddoppiata, triplicata, quadruplicata. Film, radio, libri, riviste sono tutti livellati su un piano minimo, comune, una specie di norma dietetica universale. Tutto viene ridotto a pastone, a trovata sensazionale, a finale esplosivo. Le opere dei classici ridotte così da poter essere contenute in quindici minuti di programma radiofonico”. E, di conseguenza: “La durata degli studi si fa sempre più breve, la disciplina si allenta, filosofia, storia, filologia abbandonate, lingua e ortografia sempre più neglette fino ad essere quasi del tutto ignorate. La vita diventa una cosa immediata, diretta, il posto è quello che conta, in ufficio o in fabbrica, il piacere si annida dovunque”. E, sempre più terribile: “Noi dobbiamo essere tutti uguali. Non è che ognuno nasca libero ed uguale, come dice la Costituzione, ma ognuno viene fatto uguale. Ogni essere umano a immagine e somiglianza di ogni altro, dopodichè tutti sono felici perché non ci sono montagne da superare che ci scoraggino”. Questa scoperta gli apre però un punto interrogativo ancora maggiore: cosa deve fare lui, ora che sa? Come può continuare la vita di prima?
E’ un vecchio professore a suggerirgli un’alternativa rivelandogli l’esistenza di un’oasi in cui si rifugiano tutti quelli che hanno rinunciato ad ogni vita sociale: sono “libri viventi”, uomini e donne che sono tollerati o forse volutamente ignorati dal sistema, solo perchè si tengono ai margini di esso, non lo combattono, se ne sono estraniati. La città è il sistema, con il suo odio latente e la guerra che lo porta ad autodistruggersi. La campagna è…il nulla, un qualcosa di indefinito, un’ombra di vita, o meglio un germoglio di un’esistenza che aspetta l’occasione di sbocciare con la memoria e la coscienza: con la memoria che diventa coscienza e conoscenza, potranno seminare una vita di speranza e di novità; forse anche di sofferenza e di diversità, di lotta e delusione, ma una vita sicuramente più vera e profonda di quella nella quale Montag stava lentamente affogando.