Il cuore che abito, di Attilio Alessandro Ortolano

Il cuore che abito, di Attilio Alessandro Ortolano

Il secondo libro di Attilio Ortolano, giovane scrittore abruzzese dall’indole umile e profondamente recettiva nei rapporti interpersonali, approfondisce ed amplia quello che era stato il suo messaggio fondamentale nel primo libro, la consapevolezza dell’importanza delle emozioni per essere liberi ed esprimere appieno la propria individualità, ed introduce un secondo tema, quello del carpe diem, visto da una prospettiva nuova: non per un godimento egoistico ma per il suo esatto contrario, un dono per tutti coloro che ci vivono accanto. E’ un invito a vivere la nostra vita nel modo più pieno possibile non per essere “banalmente” felici ma per essere generosamente umani, portatori di gioia e calore. È il modo in cui concentrare nella nostra esistenza tutte le possibilità di vita che possiamo immaginarci – anche senza dover ricorrere alla quarta dimensione!

Il protagonista, Ludovico, dopo un incidente, si ritrova senza memoria e affronta così, pulito da qualsiasi contaminazione preconcettuale, la costruzione e ricostruzione della sua vita: privo di qualsiasi aggancio al proprio passato, deve ricominciare da capo. Va prima a Venezia, poi a Chioggia, dove conosce due persone che saranno fondamentali in questo suo percorso, un pescatore che gli insegna ad accogliere, ad ascoltare, ad appropriarsi di ogni prezioso istante della vita (“aveva capito che la maggior parte dei palpiti del cuore li aveva sentiti di fronte ai dettagli quotidiani”) e Claudia, luminosa, trasparente, viva, leggera che gli regala l’essenza della fiducia: “Se stai cercando delle risposte, senza dubbio le troverai. Le risposte sono negli incontri, nelle voci, nei dettagli. Abbi fiducia. La fiducia in un dio è prima di tutto fiducia in noi stessi”.

Accanto al processo di costruzione ex novo della propria vita, Ludovico affronta anche quello della ri-costruzione del proprio passato. In questa seconda parte, l’autore, attraverso un originalissimo espediente narrativo, quello del bioterrorismo, scarta il genere distopico da cui era partito e si sposta su quello fantascientifico, trascinando il lettore nelle trame di un pazzoide che intende costruire una sorta di mondo parallelo, fatto di individui clonati da persone morte sulla terra. È davvero, come lo scienziato afferma, per creare una società felice, perché immune da dolore, tristezza e morte? O è piuttosto per dominare su una comunità completamente asservita perché incapace di provare emozioni proprie e, di conseguenza, di sviluppare la propria individualità?

Un finale sconcertante con una serie di efficaci colpi di scena porta il protagonista e con lui il lettore a comprendere che quello che ci forma come essere umani, come individui, non è la massa di cellule che siamo materialmente, ma l’universo delle emozioni che siamo capaci di sentire e lasciar dilagare in noi.

Abitare un cuore è ciò che dà vita, non il cuore stesso; e per abitare si deve intendere la volontà e la capacità di far palpitare quel cuore nella quotidianità che si ha disposizione. Potente la prosa dell’autore, per quella che è la sua peculiarità di costruirsi attorno a frasi di grande poesia e frasi di incisivi aforismi, sintesi di riflessioni che, come un seme, racchiudono immensi valori.