Jacques il fatalista e il suo padrone, di Denis Diderot

Jacques il fatalista e il suo padrone, di Denis Diderot

Sorprendete romanzo anti-romanzo: l’autore sceglie il dialogo come mezzo di discussione ed analisi. L’opera si snoda in cornici narrative concentriche.

La prima cornice è quella della narrazione dell’autore stesso che racconta il viaggio dei suoi due protagonisti: Jacques ed il suo maestro vengono presentati in cammino, a cavallo, nell’atto di raccontare le vicende degli amori di Jacques. Fin dalle prime parole parole, emerge il filo conduttore di tutta l’opera e, forse, l’idea centrale della filosofia di Diderot (sebbene non sia chiaro quanto egli in questa idea creda veramente e quanto invece non ne faccia oggetto di satira): il était écrit là-haut (era scritto in Cielo). Si tratta di una forte convinzione di predestinazione che, nella mente semplice e fervente (non religiosa, comunque, piuttosto naturalistica) di Jacques porta non ad un sentimento di “prigionia”, di mancanza di libertà, ma ad un piacevole senso di serenità, di fiducia, che può talvolta essere scambiato per apaticità, ma che più spesso è un placido lasciarsi guidare dagli eventi. Jacques non si turba mai, neppure quando i presagi sembrano essere funesti, sente che qualcosa lo guida ed ha la sensazione di non essere lasciato a se stesso, ai propri rischi e responsabilità. Il senso degli eventi, nella mente di Jacques coincide col caso degli stessi nella narrazione dell’autore della cornice esterna che più volte sorprende il lettore, narrando le cose come effettivamente sono andate e non come ci si aspetterebbe secondo le leggi del romanzo e del gusto letterario. L’autore vuole in certo senso combattere contro la pretesa di determinare gli eventi da parte di uomini e scrittori, invocando non tanto una mistica predestinazione, quanto piuttosto una naturalità delle cose che deve essere accettata nel suo svolgersi coerente ed inevitabile.

All’interno di quella dell’autore c’è una seconda cornice: Jacques, il suo maestro e perfino un’ostessa presso la quale alloggiano i due protagonisti raccontano a vicenda delle storie più o meno amorose, nelle quali si evidenzia spesso la apparente casualità degli effetti in opposizione ai piani delle persone: quello che uno pensa di determinare con le proprie scelte spesso non solo non si verifica ma (forse perché il était écrit là-haut) determina effetti del tutto diversi ed insospettati. E, nell’arguta, ironica e gradevole concezione illuministica, negli eventi c’è di frequente un lato comico o comunque ‘a lieto fine’ se si sarà capaci di prenderlo per tale.

Le varie narrazioni vengono spesso interrotte, talvolta abbandonate, altre riprese, così come lo svolgersi della vita non è lineare come si vorrebbe, ma intersecato da tanti piccoli-grandi eventi. Jacques non riesce che verso la fine a narrare la storia dei propri amori, dopo aver sentito altre storie (bellissima quella dell’ostessa che racconta il machiavellico piano vendicatico di Madame de la Pommeraye) e perfino quella degli amori del suo maestro, vittima degli inganni di usurai ed amici infidi. Ma tutti i racconti sono caratterizzati da un gusto per l’ottimismo e piacere di vivere che contagia e lascia con una grande soddisfazione e fiducia nella Saggezza della Sorte.