I silenzi di Roma, di Luana Troncanetti (Fratelli Frilli Editore)
Conosciamo in questo romanzo – nel quale Luana Troncanetti, scrittrice romana appassionata di racconti e storie brevi, ha trasformato un racconto autopubblicato alcuni anni prima – l’ispettore Paolo Proietti della Squadra Omicidi di Roma; conosciamo la sua provenienza da un passato di infiltrato della narcotici, che gli aveva procurato traumi psicologici pesanti, una passione per una giovane, Francesca, tossica e perduta in una gang di bruti, che gli brucia ancora, nonostante il lungo percorso riabilitativo che gli ha permesso di tornare al lavoro. Conosciamo il suo amico d’infanzia, Ernesto, taxista, il suo talento innato per l’arte, soprattutto per la pittura alla quale la vita lo ha portato a rinunciare frustrandosi in un lavoro che lo tiene a contatto con l’umanità di ogni strato sociale. Conosciamo la sua équipe, dalla burbera, irascibile ma talentuosissima anatomopatologa, Barbara Grassi, al suo capo, il dirigente della squadra mobile Giorgia Cusani, donna seria, professionale, intelligente, all’altra donna della squadra, sua sottoposta invece, Marina Ansaldi, con la quale il rapporto professionale tende troppo spesso a deviare in quello privato, nonostante lui cerchi di evitarlo. Paolo sente ancora molta incertezza e confusione nella sua vita, per quanto sappia di poter contare su persone che alla fine costituiscono il suo baluardo, non solo nel pericolo del lavoro, ma anche nei dubbi personali.
L’assassinio dell’artista Alberto Roncaioli che apre le pagine del romanzo, con un incipit travolgente: “Il dolore ti infila in una pelle diversa, ti riveste di volti sconosciuti, scolpisce lineamenti estranei finchè non ti smarrisci in un’immagine oscura” è di un’efferatezza sconvolgente e denota subito un coinvolgimento drammatico ed emotivamente instabile da parte dell’assassino. Le indagini della squadra di Proietti ricostruisono un ritratto della vittima estremamente sgradevole. A partire dai due figli, è evidente che nessuno strascico di dolore si è lasciato dietro quell’uomo che rivela dai vari racconti di chi ha avuto a che fare con lui, un animo ossessionato, perverso, cinico e spietato. Dopo la morte della moglie si era chiuso in se stesso, estraniandosi dal mondo esterno e limitandosi a ricevere allievi in casa.
Accanto all’indagine di Paolo l’autrice accompagna Ernesto nella sua vita quotidiana, fatta dei piccoli “cammei” come ama chiamarli, ritratti di persone colte nei brevi minuti in cui la loro vita è racchiusa nell’interno del taxi, unica occasione di lasciar trapelare, in miniatura, qualcosa che nella vita al di fuori deve rimanere segreto. Ernesto si trova così ad essere tacito osservatore di esistenze altrui. Ma se è normale e doveroso restare al di fuori delle fugaci immagini di vita che entrano ed escono dal suo taxi, non è altrettanto normale e facile per lui restare al di fuori della vita di sua moglie Margherita, caduta in uno stato depressivo irreversibile, per l’ossessione di una maternità che non è mai riuscita a portare oltre i primi mesi di gravidanza. Aborti traumatici, ogni volta più violenti della precedente per la sua psiche sempre più straziata. Il diario che Ernesto consulta per un disperato bisogno di capire e sapere come muoversi è un delicato canto lirico straziante, una sorta di peana per la morte, il dolore, la crudeltà di una vita che si è ritorta contro.
I silenzi di Roma sono quindi i silenzi oscuri che generano dolore: “Il silenzio veste i vigliacchi, alimenta le illusioni, protegge i mostri e offende gli innocenti, cela amori proibiti e desideri illeciti”. Gli unici, innocenti e lancinanti, sono i silenzi dei bambini mai nati di Margherita ed Ernesto.
L’autrice ha una prosa poliedrica, capace di registri narrativi da thriller nelle scene in cui descrive il delitto o le reazioni impulsive violente, la brutalità di strati sociali disagiati, o da romanzo d’introspezione psicologica nella disanima di casi umani turbati, feriti; ma sa anche colorare il suo stile con efficacissimi tocchi di humor, come nelle scenette da commedia dell’arte in cui la coppia di anziani portieri del palazzo, Marisa e Cesare, vengono interrogati dall’ispettore o come nell’ironico e forte rapporto collaborativo tra Proietti e il suo attendente.
Ma il registro più spettacolare di questo romanzo è senza dubbio quello poetico: l’autrice, che ha imparato ad amare l’arte dal padre e che al mondo complesso e appassionante dell’arte ha dedicato questa sua storia, dipinge scene di rara poesia: metafore, analogie, suoni, profumi, colori, luci si presentano nelle pagine in vari momenti per dare quasi una percettibilità sensoriale: “La luce morbida del mattino profila i palazzi del centro storico salutando ogni tegola, ogni persiana scrostata. Si sofferma a riprendere fiato sulle ringhiere prima di infilarsi nelle finestre socchiuse. Si insinua con la confidenza di un’amica di famiglia, senza bussare o chiedere permesso”.