Sangue di Giuda, di Milvia Comastri

Sangue di Giuda, di Milvia Comastri

Quattro donne, tre generazioni, legate paradossalmente dall’assenza di affetto e di legami: distaccate, lontane, chiuse in un mondo dal quale nessuna di loro riesce a comunicare: “Si dice che ogni persona è un’isola e non è vero, ogni persona è un silenzio, questo sì, un silenzio, ciascuna con il proprio silenzio” è la frase citata in premessa, motto ispiratore della storia.
Celeste è la più anziana, chiusa anche materialmente in casa da oltre quarant’anni, da quando è nata la seconda figlia, Nadia. Per contro, Nadia non è quasi mai a casa, persa nell’inseguimento di un sogno infantile, quello di diventare attrice, per realizzare il quale è disposta a qualsiasi compromesso, non per ambizione ma per ingenuità, perchè da anni sta cercando qualcosa che non riesce a trovare, che nessuno riesce a darle. Affetto. Un abbraccio sincero. Parole. Sorrisi. In casa non c’è nulla di tutto questo. La madre sembra non sopportarla, reagisce con gelido dispetto e silenzio ad ogni suo approccio. La sorella maggiore Assunta è una maschera impassibile, chiusa in un’insensibilità che probabilmente è solo un rivestimento esterno a comprimere un’anima esacerbata e sofferente. Infine, c’è Mira, sua figlia, quindici anni, della quale Nadia non sa neppure con certezza chi sia il padre. Ma non ha importanza. E’ uno dei tanti.
Nata e vissuta in quell’intreccio rigido e freddo di relazioni familiari, Mira non ha sviluppato per la madre né affetto né stima. Sentendo la maggior vulnerabilità della nonna, forse perché la più anziana, forse perché non impenetrabile come Assunta, né vanesia come la madre (“Nonna è l’unica della famiglia a volermi bene. Assunta è troppo grigia per voler bene a qualcuno. E mia madre vuole bene a tutti, quindi è come se non amasse nessuno”), Mira si è nutrita della stessa insofferenza per la madre che credeva di percepire in lei.
Vertice di quella piramide di sofferenza è il matrimonio di Celeste e Vincenzo. Due persone semplici, oneste, sincere fin dall’inizio. Vincenzo porta in sé, dalla giovinezza, una ferita psicologica che non gli consente di amare Celeste come entrambi desidererebbero. Assunta cresce in una famiglia comunque unita che non le fa mancare affetto. Si lega moltissimo al padre, che è con lei estremamente premuroso, forse per compensare ciò che fa mancare alla moglie, forse perché sente che quell’affetto innocente e puro per la figlia è l’unica forma di amore che riesce ad esprimere. Celeste accetta per molti anni questa situazione, le si adatta, conduce l’attività commerciale nella sua merceria con relativa serenità. Fino al giorno fatidico in cui entra nel negozio qualcuno che rappresenta quel un destino che si era preparato in quegli anni a portare un tornado nella loro vita.
Il romanzo si svela pagina dopo pagina dai ricordi delle tre protagoniste, dall’intervento di un narratore esterno che si inserisce nei pensieri di ciascuna di esse, riportando gli eventi rispettivamente dai vari punti di vista e, infine, dalla narrazione in prima persona di Mira, la sera che decide di lasciare quella casa e andare al mare, al mare che non ha mai visto e che nel suo immaginario è simbolo di luce, spazi, mancanza di confini, libertà, tutto quello che le era mancato in quella casa.
E’ in quel giorno preciso che l’autrice concentra la svolta nella vita di quelle donne, la ricostruzione del loro passato da un groviglio di colpe, rimorsi, rimpianti, nel quale, per un incomprensibile volontà del destino, la fuga di Mira s’inserisce come elemento di rottura. Quell’elemento scatenerà reazioni nuove perché quelle emozioni pesanti come un macigno che fino a quel giorno le donne avevano soffocato in se stesse, come se non si sentissero in diritto di provarle, esplodono alla miccia innescata dalla nipote. È lei che, pur irretita direttamente in quelle maglie di negatività, può forse trovare la forza, per età e carattere, di strapparle, sfilacciandole, riavvolgendo la matassa consunta delle loro vite, dei loro silenzi, dei loro sentimenti sbagliati ed offrendola loro perché ricomincino a tessere: qualcosa di nuovo, di morbido, di largo. Una famiglia.