Il bibliotecario di via Gorki, di Massimo Fagnoni (Fratelli Frilli)
Nel “ventre” di Bologna, alla Zola, nel suo sostrato più disadattato, “un mondo notturno fradicio d’inverno, assetato d’estate, sempre meno umanizzato, sempre più predatorio”, pieno di individui-ombra, svuotati da ogni aspettativa di riscatto personale e di rivalutazione.
Fagnoni, con questo straordinario romanzo ci immerge nel profondo di un animo abbattuto dalla vita, dalle trappole delle sue illusioni, dal senso di mistificazione e dalla percezione di disprezzo anche nei più stretti familiari, dai quali avrebbe pensato di ricevere solo conforto e fiducia. Davide Ciampi, impiegato nella biblioteca di via Gorky del quartiere Corticella di Bologna, sta attraversando un periodo della vita che potrebbe quasi essere ritenuto normale per un padre di famiglia quarantenne che si ritrova ‘improvvisamente’ con dei figli adolescenti quando gli sembra che solo poche sere prima stesse ancora raccontando loro favole per farli mangiare o accompagnandoli a scuola. Sono cresciuti e sono in piena affermazione di sè con l’intevitabile rigetto della vecchia generazione. Ma la situazione di Davide è aggravata dall’ormai consunto rapporto con la moglie, professionista di successo che Davide accusa di aver condizionato i figli con il proprio atteggiamento di superiorità: “Stanno crescendo come te, cinici, cattivi, aridi”. Lui, bibliotecario e quindi nel superficiale immaginario collettivo, mummificato in un passato grigio e ridicolo, si sente rimasto indietro, come se tutto il mondo avesse corso più veloce di lui, senza aspettarlo, senza lasciargli il vantaggio del suo carattere mite e della sua vasta cultura. E’, o meglio, tutti lo hanno più o meno consapevolmente, più o meno volutamente, fatto sentire debole e fallito: “Non c’è più spazio per le parole, solo odio puro, tanto potente quanto irragionevole”. Solo una persona rappresenta un ramo sicuro cui aggrapparsi: Alì, l’arabo che da tanti anni vive nel quartiere, vendendo articoli di poco prezzo su una bancarella, a contatto con la gente del luogo, cordiale e affabile. Il giorno in cui, il senso di disgusto sociale raggiunge per Davide il livello massimo, portandolo a chiamare la polizia per far arrestare un giovane spacciatore che da vari giorni si mostrava nei dintorni della biblioteca, la sua vita viene travolta da un flusso contorto di rabbia, odio, vendetta. Alì, dopo averlo difeso contro la violenta reazione del giovane spacciatore e aver cercato di blandirne l’acredine (“Se non sei pronto a fare la guerra, non scatenarla”), a sua volta minacciato di ritorsioni, sparisce senza dar più notizie di sè. Per Davide è un altro macigno che crolla sul suo animo già disfatto: il rimorso e la vergogna di non aver saputo difendersi da solo e difendere l’amico. Sì, l’amico, una parola che non aveva mai usato per Alì e che riesce a poco a poco a tirar fuori da se stesso. L’autore porta il suo personaggio a sostituire la parola ‘conoscente’ con ‘amico’ simboleggiando il percorso di presa di coscienza di un rapporto umano forse fra i più disinteressati e sinceri che Davide avesse costruito quasi senza rendersene conto. Al suo fianco compare, quasi a prendere il posto dell’unico amico che Davide aveva saputo riconoscere nel momento in cui era scomparso, Galeazzo Trebbi, l’investigatore ex poliziotto che, conosciuto per caso, il bibliotecario investe della ricerca di Alì che li porta n
Davide e Trebbi si trovano in questa comune sensazione di desolazione: il primo, sconvolto da ferite recenti è sempre in bilico sul baratro dello sconforto a rischio di compiere più volte gesti estremi; il secondo, al quale il tempo ha concesso di elaborare i propri traumi familiari, è più padrone di sé ed in grado di arginare la piena di disperazione dell’altro, pur condividendone l’amarezza. Entrambi hanno un luogo catartico, rifugio quotidiano nel quale sentono di potersi aggrappare a qualcosa di affidabile e sicuro. Per Trebbi, Villa Torchi, il centro sociale nel quale bere una birra o un caffè, nel dialogo schietto e rassicurante in dialetto bolognese col vecchio Devis, il gestore del bar, che “dietro il bancone lucido di spugna osserva gli altri essere umani con espressione scettica”. Per Davide, invece, la biblioteca, la sua biblioteca di via Gorky, nella quale istintivamente si rifugia nel momento di maggior abbattimento, per cercare quella parte di sé, buona e preziosa, che in quel momento nessuno sapeva o voleva vedere, tranne la collega Rosa, “un metro e quarantacinque di bruttezza autentica, non mimetizzata da tentativi di trucco o abbigliamento alla moda”. Trebbi e Davide riconoscono le reciproche affinità e possono trarre reciprocamente aiuto l’uno dall’altro per impedire che quei drammi latenti che minacciano tante vite disadattate si materializzino.