Il mercante di libri maledetti, di Marcello Simoni (Piemme)

Il mercante di libri maledetti, di Marcello Simoni (Piemme)

Esordio di grande successo per Marcello Simoni, il giovane scrittore di Comacchio, archelogo, bibliotecario con l’idea di unire le sue due competenze: applicare il metodo storico-archeologico alla narrativa. Ne sono usciti dei capolavori, romanzi singoli e serie che hanno appassionato milioni di lettori.

In questo primo romanzo conosciamo un personaggio particolare, dal passato oscuro, dal carattere chiuso, dall’etica ambigua. Ma l’uomo non è mai del tutto buono o del tutto cattivo perchè è inevitabilmente fatto di spirito di sopravvivenza e lo spirito di sopravvivenza presuppone una dose di egoismo che si può conciliare con l’amore per gli altri ma mai sopprimere del tutto. Ignazio da Toledo, il mercante di libri, è in realtà un mercante di reliquie. E già questa professione lo tinge di sottile ambiguità perchè si sa benissimo che le reliquie vendute e comprate a caro prezzo, usate per legittimare potere su luoghi o persone, erano per lo più false. E il mercante è una persona troppo intelligente per non saperlo. Ma il suo obiettivo è un altro, è il possesso di qualcosa di intangibile ma ancor più prezioso, la conoscenza. Ed è un obiettivo molto alto perchè l’oggetto in particolare della conoscenza ambita dal mercante è ricercato anche da altre persone, persone potenti che ne vogliono entrare in possesso per sancire ancora più saldamente il loro potere.

La scena si apre in un monastero emiliano, Santa Maria del Mare, dove il mercante è ospite insieme ad un misterioso compagno, di evidente provenienza straniera, chiamato Willalme. Lì, vive un ragazzo orfano, cresciuto ed educato dai monaci, Uberto e sarà attraverso i suoi occhi ed i suoi sentimenti che il lettore seguirà lo svolgersi di eventi travolgenti che determineranno il suo destino attraverso un processo di formazione difficile e sofferto. Un baule misterioso celato nella biblioteca del monastero, un monaco sfuggente, ricercato, custode di un sapere che in molti stanno cercando, Vivïen de Narbonne e, soprattutto, una setta spietata che tira le fila di un gioco di potere da molto lontano, la setta dei Veggenti di Saint-Vehme che agiva attraverso spie e sicari, il cui capo era uno spietato assassino che si celava dietro l’inquietante identità di una Maschera Rossa.

Dop aver creato questa tenebrosa ambientazione, Simoni svolge la sua trama narrativa tra Italia, Francia e Spagna, in un fil rouge di chiese, abbazie, monasteri e biblioteche, su quella che è la classica struttura di una caccia al tesoro: ad ogni tappa i protagonisti conquistano una traccia sottoforma di enigma espresso in due lingue, spagnolo e provenzale antico, che rivela l’ubicazione di uno dei volumi di una raccolta misteriosa e oscura: l’Uter ventorum, riecheggiando l’otre dei venti, donato da Eolo ad Ulisse e aperto improvvidamente, con il conseguente scatenamento delle furie della natura. La suggestione medievale ha immaginato che i venti fossero angeli sapienti e che ci fossero dei libri segreti che ne custodivano il sapere. Simoni incentra la propria storia su uno degli aspetti forse meno noti ma molto particolari del Medioevo, quello della sapienza occulta, della ricerca di conoscenze che, spesso proibite da una Chiesa fortemente accentratrice e gelosa del proprio controllo sulla comunità assicurato dal potere della cultura, stimolavano personalità più acute, ambiziose, intelligenti, spesso spregiudicate. Il più delle volte si trattava di leggende inconsistenti, come la famosa pratica alchemica della pietra filosofale, che tuttavia muovevano pezzi potenti e semplici pedine sulla scacchiera dell’Europa medievale.

Ignazio è una pedina, senza saperlo. Ed i pezzi potenti sono diversi, enigmatici, oscuri, oscillanti fra il bene e il male. Personificazione di questo contrasto sono due splendide figure, Willalme, il fedele compagno di Ignazio e il sicario che li segue tappa dopo tappa. Uno strano destino parallelo sembra unirli: entrambi hanno sofferto torti che hanno radicato in loro una sete implacabile di vendetta, entrambi sono abili guerrieri, entrambi hanno affidato il proprio braccio ad un signore che in qualche modo rappresenta per loro un mezzo per concretizzare quella vendetta. Punto focale della psicologia di tutti i personaggi è infatti questa continua oscillazione: nessuno di loro attraversa indenne la vita senza essersi trovato solamente dalla parte della giustizia o da quella dell’ingiustiza.

Solo Uberto, nella sua giovinezza, rappresenta l’innocenza inconsapevole e attraverso di lui il lettore percepisce la drammaticità del non sapere, il senso di frustrazione, debolezza e paura che deriva dal non potersi fidare di nessuno, neppure di chi si sente di amare.