La squola, di Marilù Oliva (LiberAria)

La squola, di Marilù Oliva (LiberAria)

Una struttura narrativa nuova e accattivante caratterizza questo romanzo, il primo dell’autrice dedicato ai ragazzi nel momento forse più critico della loro vita, quello dell’adolescenza dei sedici anni.

I capitoli sono le voci dei vari protagonisti, come pagine di diario o monologhi confidenziali con il lettore discreto. Ogni capitolo reca il nome del ragazzo che si sta confidando, presentando ciascuno la propria visione delle cose, gli eventi dalla propria prospettiva.

Elevata a coprotagonista è La Squola, che apre e chiude il romanzo, dopo aver parlato più volte, per dare anche lei la sua versione delle cose, per quello che ha visto in generazioni di studenti che hanno frequentato i suoi locali e negli eventi di ogni tipo che hanno portato ad una formazione più o meno complessa e difficile di ogni studente. Ed è la Squola con la Q, perché qualche burlone l’ha scritta così ed il preside non ha mai voluto correggerla o cancellarla perché, come spiega ai ragazzi alla fine, “Primo: perché questo istituto scolastico è anche vostro ed è giusto far sentire la voce dei ragazzi. Nessuno deve mai mettervi da parte. Secondo, perché oggi la scuola è così imprecisa come l’avete scritta coi: vilipesa, male interpretata, con pochi sostegni dall’alto, la si accusa di tutto anche per un nonnulla”.

Pagina dopo pagina, i protagonisti, confidando i loro segreti, le loro paure, le loro difficoltà relazionali con i coetanei o con i genitori, i loro primo amori, le loro aspirazioni, tessono una trama avvincente non solo per l’elemento giallo (caro alla scrittrice che non lo fa mai mancare nei suoi romanzi) ma soprattutto per la suspense dell’attesa della capacità, per quei giovani confusi e spesso disadattati, di superare le crisi e, finalmente, attraverso una crescita interiore sofferta, raggiungere la serenità e l’equilibrio di una maggiore consapevolezza di sé e fiducia negli altri: “Ho imparato che c’è un legame profondo tra le cose (…). Anche se in alcuni momenti qualcuno ce lo fa credere, non esistiamo solo noi” è la conclusione del ‘diario’ di Fil, uno dei protagonisti.

Fil è il ragazzo che apre la storia, presentandosi come un po’ chiuso e riservato, di poche parole, che trova fiducia esclusivamente in due amici ai quali si è legato, Sauro, il bocciato un po’ bullo e scapestrato e Bongo, superficiale, poco riflessivo, materialista. Ha una spinta dentro di sé che cova segreta e che sfocerà a poco a poco sulla scia degli eventi. Pauline è la ribelle, tipica ragazza poco appariscente, forgiata dalle continue critiche dei genitori in un’armatura di disistima e inadeguatezza che alla fine riesce a infrangere attraverso una serie di scelte sbagliate. Ciecio è un ragazzino timido e solitario, con il complesso dell’altezza, perché più basso e magrolino per la sua età; anche il suo primo tentativo di superare la difficoltà è sbagliato, perché lo porta a cercare di risolvere un problema che, intuisce, è forse più dei genitori che suo (“esiste questo grande equivoco tra quello che si aspettano da noi e quello che noi, di fatto, siamo”). Miluna è la ragazza più fragile di tutti, quella che si trova in una drammatica situazione di illegalità.

L’illegalità serpeggia in tutto il libro: non solo la vita di Miluna, ma anche furti, ricettazione, possesso e commercio di droga, cyberbullismo. Sembra quasi che non esista altro modo per i ragazzi di oggi che passare attraverso le tentazioni della violazione della legge, della ribellione all’autorità che non è solo quella genitoriale, ma è anche quella delle istituzioni pubbliche e della società in generale. La trasgressione è fortissima, in quasi tutti i protagonisti. Pochi sono i ragazzi o le ragazze citati, che non hanno questa necessità, che si presentano forti e sicuri di sé, spesso grazie alla cultura, una cultura offerta a tutti, perché messa veramente alla loro portata, è il frutto di tutto il libro. Bellissime sono le pagine dedicate all’arte e alla sua estrinsecazione: la bellezza: “L’arte ci fa stare meglio con noi stessi, ci può scuotere se siamo intorpiditi o abbiamo bisogno di ribellarci, ci alleggerisce dalla solitudine, ci elargisce uno di quei doni più grandi della vita, la Bellezza (…), uno degli ultimi baluardi della democrazia, perché davvero risplende in maniera uguale di fronte a tutti: ai brutti, agli avvenenti, ai ricchi e ai nullatenenti. Non concede privilegi, attenuanti, ritardi: come la vita o la morte, si spalanca davanti a chiunque, delle volte annunciata, delle volte con un’imboscata e noi non possiamo far altro che riceverla e stupirci”.