Il regno dei Fanes, a cura di Brunamaria Dal Lago

Il regno dei Fanes, a cura di Brunamaria Dal Lago

Il poema epico dei Fanes è pressochè sconosciuto, tuttavia rappresenta una delle leggende più ricche e complesse della tradizione ladina dolomitica. L’interesse per questo mito tramandato oralmente per secoli e secoli nelle valli ladine è stato rilanciato da Karl Felix Wolf che, agli inizi del ‘900 ha raccolto quanto più materiale possibile, lo ha rielaborato e pubblicato.
Brunamaria Dal Lago, a sua volta, appassionata di temi folkloristici, ha attinto fedelmente alla versione di Wolf, aggiungendoci però, secondo il proprio gusto e la propria interpretazione, vari elementi che le consentissero di proporci il testo in un racconto moderno e appassionante: “Indubbiamente non è facile” dichiara l’autrice in calce al testo “riraccontare una storia di molti e molti anni fa. Il valore di qualsiasi narrazione dipende non solo da quanto in essa è espressamente detto, ma anche da quanto vi è tacitamente implicito. Lo scrittore o il narratore aggiungono alla tradizione popolare gli elementi di fantasia che ricreano il corpo mutilato del racconto”.
La leggenda si compone di vari episodi, tutti ambientati nelle Conturines, nei dintorni di Fanes, altipiano tra la Val Badia e l’Ampezzano. Più popoli ne sono protagonisti, diversi per fisiologia, cultura, stanziamento e soprattutto per l’abbinamento con un animale totemico. Peculiarità di questo ciclo leggendario è il profondo legame con la natura che caratterizza questi luoghi, legame che viene reso indissolubile da un patto preciso fra un animale ed il sovrano del popolo. Così i Fanes, civiltà in origine matriarcale, è legato alle marmotte; ma ad un certo punto la regina scelse di spostare il potere sul lato mascolino della coppia, affidandolo al marito che fu indotto a stringere un patto con il Principe delle Aquile, che governava su un popolo che presentava una mutilazione genetica, mancando di un braccio (*), il quale gli chiese uno scambio del primo figlio. Al re e alla regina nacquero due gemelle, Dolasilla, bella come il sole e Lujanta, luminosa come la luna. Fu Lujanta ad essere consegnata all’emissario del Principe delle Aquile che però, durante il volo la perse. La bambina finì così nel regno delle rocce, tornando in questo modo a chi la doveva possedere di diritto, le Marmotte. Per lungo di tempo di lei non si saprà più nulla, fino a quando i nani del popolo di Aurona non le affideranno un compito speciale, quello di combattere per il proprio popolo: avrebbero dato alla giovane una armatura invincibile (fino a quando non avesse cambiato colore, assumendo quello infuocato del tramonto), e tredici frecce magiche. Dolasilla accettò (**) e divenne così una grande guerriera, bella e invincivile. Ciò che però rende questo personaggio particolare è una sorta di nostalgica accettazione: non ha lo spirito indomito e aggressivo delle Amazzoni, è come se si fosse sentita costretta a giocare un ruolo non suo; e per lunghi anni combatterà con un velo di tristezza e rimorso dentro di sé. Diverso il ruolo della sorella di Dolasilla, Lujanta, ma mentre “Dolasilla agiva per magia d’armi, lujanta agisce per magia di parole”; la sua è una figura evanescente, luminosa, al di sopra di contaminazioni di guerra e avidità. Per ricomporre l’unità fra aquile e marmotte, Lujanta diverrà la moglie del Principe Aquila e gli darà due figli: un principe e una piccola principessa, Mara (***) che, incaricata di continuare la missione di Dolasilla, viene aggredita dal tiranno nemico del popolo dei Fanes. Saranno i Fassani, abitanti della valle di Fassa, colpiti dalla sua bellezza, a salvarla e tenerla con loro chiamandola Vanna(****).

Il poema è articolato e appassionante come le classiche saghe epiche: dalle nostre Iliade e Odissea ai poemi di Ossian e al Beowulf per gli inglesi, al ciclo dei Nibelunghi per i Tedeschi. E’ la saga delle nostre montagne, l’incanto di un territorio suggestivo che, vivo nel turismo estivo e invernale, ha ancora storie antiche da narrare a chi abbia voglia di conoscerle.

*La mano o il braccio sono emblemi regali, simbolo di potenza e dominio. L’uomo privo di un braccio o di una mano si trova al di fuori del tempo, in una situazione di transitorietà. 

**Il luogo nel quale Dolasilla fu incoronata è quello che oggi porta il nome di Pla de Corones.

***In lingua retica il nome significa palude, acqua oscure, morte, destino, lutto.

****Il cambio di nome è frequente, a ribadire il concetto che il nome è intrinsecamente legato alla personalità e al destino delle persone.