Polvere di Ortica, di Saverio Gamberini (La Freccia d’Oro)
Una nuova storia del filone di Amilcare Barca, un giallo ambientato nel Polesine, del quale, come dei precedenti, protagonista non è solo il giovane medico di base che lavora a Goro, ma è tutto il paese di Goro con la sua gente, la sua storia, la sua quotidianità. Su questo sfondo fortemente caratterizzato nella sua identità contadina e popolare, s’innesca la scintilla della prevaricazione economico-sociale nelle vesti di un sedicente imprenditore russo di Smolensk, Vladimir, che, con la copertura di un’azienda di distribuzione di prodotti agricoli, avendo individuato in quel paese il luogo ideale per i suoi ambiziosi progetti di realizzazione di un piccolo paradiso fiscale, trova terreno fertile nel contrasto politico fra le due opposte fazioni, delle quali, quella attualmente al potere nella persona del sindaco Poletti, si trova gravemente screditata agli occhi dei suoi concittadini per tutte le promesse fatte e non mantenute. In un dialogo dove il dramma viene reso con la farsa, il russo con con tono di pacata superiorità cerca di assicurarsi l’appoggio del rappresentante dell’opposizione, Mantovani, convincendolo a fomentare il disagio dei cittadini di fronte al gruppo di immigrati che la sua società ha portato come manodopera. L’autore introduce così il primo dei temi che gli interessa trattare, quello della reazione di una comunità provinciale all’insediamento di una minoranza extracomunitaria sul suo territorio. Ma poiché è uso, nei suoi romanzi, non limitarsi ad un unico argomento, ma cogliere e rendere al lettore un più complesso intreccio di problematiche etologico-sociali, Gamberini ha perseguito un obiettivo originale e molto interessante, quello di affiancare due tematiche molto delicate, attualissime e, per certi versi, contrastanti: l’immigrazione di massa e lo spirito comunitario europeo. Ispirandosi ad un episodio poco noto della recentissima storia inglese, quello dell’uccisione della deputata laburista ed europeista Jo Cox, contraria alla Brexit, l’autore tesse un romanzo incentrato sulla tolleranza e sull’europofilia.
Il quadro che Gamberini dipinge è interessante ed eloquente perché gli abitanti di Goro inizialmente sembrano quasi non dare importanza a quella presenza, fino a quando non è qualcuno che, forte di una posizione sociale che per cultura o potere, lo mette al di sopra degli altri, ne sottolinea il peso e soprattutto ne paventa le minacce nei confronti delle figure più deboli e indifese, le donne e i bambini. Solo a quel punto, la comunità sembra rendersi conto dell’impatto che quella gente straniera e clandestina ha portato nella propria vita tranquilla.
Resta indelebilmente impressa l’immagine delle decine e decine di neri che invadono silenziosamente il paese, che raccolgono frutta a mano, tanto che spesso di loro si vedono solo le braccia annaspare fra gli alberi, taciti, oppressi, inconsapevoli. Non parlano, si muovono lentamente, come una marea lenta e cupa che qualcuno vuole vedere minacciosamente incombente, quando invece, senza arrivare a rovesciarsi sulla spiaggia del paese, se ne ritrae in uno struggente risucchio.
Quei neri non fanno nulla, sono lì come strumenti di un potere avido e senza scrupoli, impietosamente sfruttati. Vladimir usa loro come usa Svetlana, la giovane che si è portato da Smolensk com amante, segretaria e complice inconsapevole. Usa coloro che non sanno, coloro che non hanno possibilità di reagire né tantomeno ribellarsi perchè pensano che niente di più e di diverso sia loro concesso dalla vita. Svetlana è convinta che la sua famiglia sia protetta dall’uomo e accetta di fare ogni sua volontà per proteggerla a sua volta indirettamente. Come lei, neppure gli immigrati pensano di aver diritto a qualcosa di più di quello che ricevono, che è davvero poco, ma piuttosto che il niente, sembra a loro già un privilegio. Terribile l’equivoco inumano in cui gli inconsapevoli sono tenuti: l’idea di essere beneficati da chi li sta piscologicamente, quando non anche fisicamente, violentando.
In questo sistema corrotto la voce che squarcia la nebbia è quella di Giovanna Cocchi, giovane insegnante da poco arrivata nel paese, con le sue idee di largo respiro. Giovanna è innamorata dell’Europa: le esperienze di vita e lavoro fatte nei paesi del Nord l’hanno resa entusiasta delle mille possibilità di apertura e rispetto che si possono trovare in un contesto più ampio e stimolante della piccola realtà che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno: “è importante uscire dal nostro ghetto e aprirsi all’Europa, per assimilare le modalità comunicative che ci mancano, per imparare a condividere le conoscenze”. La comunicazione a largo raggio è il messaggio custodito in questo romanzo, una comunicazione aperta e sincera, fertile di fiducia reciproca: “La rivoluzione non si fa con la violenza, ma dovete farla dentro di voi (…), è un percorso interiore che non deve restare isolato, ma condiviso. Per questo dovete imparare a comunicare, perché con la comunicazione il vostro percorso potrà essere condiviso”.
Se ci si fa ingannare dallo scenario che qualcuno per gretti interessi individuali costruisce davanti ai nostri occhi dissimulando quella che è la vera realtà, allora si perdono tutti i riferimenti, la lucidità di giudizio, la percezione della verità. Giovanna, Amilcare, Veronica, Geronimo e Brunilde cercano di abbattere quello scenario artefatto che stava condizionando i più semplici, i più sprovveduti, i più deboli. Eppure questi personaggi appartengono ad ambienti sociali molto diversi, chi alla città, chi al paese, chi alla golena; ma in comune hanno una forza speciale, quella dell’orgoglio di riconoscersi nella propria esperienza, nel proprio passato. Né Veronica né Geronimo, che provengono dalla golena e sanno di dover affrontare la sfida di un’affermazione continua della propria dignità nei confronti del resto del paese, si vergognano di quello che sono: “La gente della golena aveva fatto della precarietà uno stile di vita”. Indiscutibilmente è questa la loro forza, la loro sicurezza. Amilcare e Brunilde la percepiscono ed hanno l’umiltà e la sensibilità di affidarsi loro. L’abnegazione con la quale si aiutano a vicenda è il simbolo del superamento della diversità.