Le ombre di Montelupo, di Valerio Varesi (Frassinelli)
Dalla pianura del Po all’Appennino tosco-emiliano, i due ambienti prediletti dell’autore. La suggestione ispirata dalla nebbia autunnale persistente sulle cime e avvolgente i boschi è indimenticabile. La nebbia è la prima protagonista del romanzo, silenziosa, incontrollabile, imprescindibile. E coprotagonista la foresta appenninica, fitta e disorientante. Insieme formano un fondale scenico nel quale i vari personaggi del romanzo si muovono, a seconda della familiarità o meno con esse, con circospezione o con sicurezza. Tra il mondo umano e il mondo naturale, c’è quello animale: alcuni cani, uno in particolare, assurgono a protagonisti essenziali nello scioglimento dell’intreccio.
La prosa dell’autore, scorrevole, lessicalmente perfetta, pittorica, essenziale, poetica, è inconfondibile. Frammenti di testo possono essere estratti come particolari di quadri fiamminghi o versi di una lirica classica: “…inseguendo il filo precario di un discorso forse troppo difficile per essere srotolato senza confusione”, “una balconata d’arenaria aveva ceduto all’affronto dell’umido scivolando a valle e disegnando una cicatrice profonda nel bosco”, “il sentimento di paura che gli aveva offuscato il ricordo, si scolora nella vergogna”.
Il commissario Soneri, figura profondamente umana, sensibile e nostalgica, dà in questo romanzo, l’immagine toccante del peso, dolcemente ossessivo, del proprio passato. Montelupo era il luogo della sua infanzia, che nei ricordi si saldava alla figura del padre, con la quale ha sempre un vago e triste senso di mancanza, come se avesse perduto, per non averli saputi apprezzare appieno, momenti importanti con lui. Ecco perchè decide di tornare per un breve periodo di ferie proprio lì, “in quella valle dell’Appennino dove i suoi avi avevano attraversato decine di stagioni nell’alternarsi della neve e dei Ferragosti, sottraendo la terra ai ginepri e la legna ai boschi”. Angela, ormai sua compagna, non l’ha seguito, ma è costantemente presente al suo fianco. I loro colloqui telefonici sono un filo che li tiene uniti a distanza, consentendo a Soneri, facile preda di prorompenti rimpianti, di rimanere attaccato al presente, alla realtà.
Forse non ce ne sarebbe bisogno. Perchè la realtà lo raggiunge e lo bracca con un’indagine non sua nella quale viene inevitabilmente coinvolto.
Ma non è la notizia di una morte quella che apre il romanzo: al contrario, è l’assicurazione che, qualcuno che si sospettava morto, è in realtà vivo: “Si assicura tutta la cittadinanza che il dotto Paride Rodolfi gode di ottima salute“. Questi manifesti accolgono Soneri al suo arrivo a Montelupo e, inevitabilmente, lo incuriosiscono.
I Rodolfi erano un’istituzione economica nel paese. Partiti dal nulla, con l’ambiziosa e indomabile figura di Palmiro Rodolfi, avevano costrituito un impero industriale con il salumificio che aveva dato lavoto a gran parte della popolazione del paese e li aveva arricchiti, elevandoli, socialmente, al di sopra dei concittadini. Ma se il vecchio Palmiro, che si era costruito da solo, aveva mantenuto il legame con il territorio, il figlio, quel Paride, sulla cui salute, e soprattutto sulla cui disponibilità ad ottemperare gli impegni di lavoro, i manifesti si premuravano di avvisare la cittadinanza, ha preso le distanze dalla propria gente. E quando le sorti dell’azienda sono cambiate, a poco a poco, sospetto e sordido rancore hanno cominciato ad alimentare il paese nei confronti dei Rodolfi. Il commissario scopre un passato di prestiti estorti agli abitanti con promesse di interessi che ora, col fallimento della società, difficilmente potranno vedersi tornare. Il paese è contaminato da rabbia della quale tuttavia sembra geloso. Nessuno è disposto ad ammetterla agli inquirenti e a parlarne liberamente.
Ma quando i due imprenditori, padre e figlio, vengono trovati morti, il caso coinvolge inevitabilmente non solo la questura locale ma anche Soneri che si trova lì privatamente: “Adesso qualcosa è successo. Non siamo più solo alle chiacchiere” cerca di sensibilizzarlo il sindaco. Sulle prime, Soneri vorrebbe tirarsi indietro “Un suicidio è un fatto privato. Il più privato di tutti”. Ma, anche se ha capito che il luogo dei suoi ricordi di ragazzo, non è più quello nel quale ha voluto tornare, anche se sente “crescere quel confine fra sé e il paese fino a sembrargli una muraglia”, comprende anche “di non poter più rimanere estraneo a quella storia di paese. Gli pareva di aver scoperto un vecchio debito e di doverlo per forza saldare”.
Insieme all’indagine per scoprire chi ha ucciso Paride Rodolfi, il commissario conduce così un’indagine intima e segreta alla ricerca del padre che non ha pienamente conosciuto, quel padre che lì, a Montelupo, sente più vicino che mai, col suo “passo un po’ aghembo, come se spingesse solo con una gamba, che sapeva di esperienza, di fatica e di vita grama”.
Il dialogo con Angela che per Soneri ha l’arduo compito di tenerlo vivo, a contatto con la realtà e la speranza, ha per il lettore un’altra funzione, quella di una sottile corrente umoristica che attraversa l’intero romanzo contrastando con effetto catartico l’atmosfera di grigiore, nostalgia e disillusione che gli fa da sfondo.