Mileva Einstein, di Slavenka Drakulić (Bottega Errante Edizioni)
[Traduzione di Estera Miocic]
L’autrice, Slavenka Drakulić, giornalista e scrittrice croata di fama internazionale, ha creato un romanzo profondamente intimo, dedicato a Mileva Einstein, la prima moglie del grande scienziato, che nel 1914, dopo un matrimonio durato una decina d’anni ed una relazione di amicizia e collaborazione professionale ancora più lunga, improvvisamente la lascia con uno scritto che è sconvolgente nella sua apparente freddezza: non una lettera, peggio, delle Condizioni.
Rinuncerai a qualsiasi rapporto personale con me se non in quanto sia strettamente necessario per ragioni sociali. In particolare rinuncerai:
1. che io stia a casa con te
2. che io esca o viaggi con te
Ti atterrai ai seguenti punti nei tuoi rapporti con me:
1. non ti aspetterai nessuna intimità da me, e nemmeno mi rimprovererai in alcun mondo;
2. smetterai di parlarmi se te lo richiederò
Una sorta di recesso contrattuale. E’ dalla lettura di quelle spietate Condizioni che comincia la storia narrata dalla Drakulić, in una cucina di Berlino, dove Mileva è stata ospitata da amici insieme ai due figli. Comincia il cammino di studio della propria vita, un’elaborazione pacata, lunga e sofferta di tutto quello che ha sperato e perduto.
In un monologo in prima persona, accompagnato dalla voce amica di un narratore esterno che interviene per ampliare la prospettiva ed offrire alla protagonista un comprensivo alleato, emerge una figura di donna struggente, che la vita ha colpito fin dalla nascita. Sia Mileva che la sorella minore Zorka sono nate zoppe ed hanno dovuto affrontare fin da piccole gli insulti, la vergogna, la rabbia, l’incomprensione, la solitudine. Mentre Zorka non ha saputo elaborare la sua sofferenza che è diventata a poco a poco malattia psichica, Mileva, più forte e intraprendente, ha sfidato il suo destino studiando ed iscrivendosi, cosa del tutto eccezionale per una donna, al Politecnico di fisica. Conosce Albert che, pur poco più giovane di lei, non ferma il suo sguardo sulla menomazione fisica di Mileva ma s’innamora della sua viva intelligenza. I ricordi di quegli anni sono ancora dolci nella sua memoria: ore, giorni, notti, passate a studiare, elaborare teorie, trascrivere appunti, confrontarsi con altre grandi menti. Sembra una coppia di oggi, sana, intelligente. Eppure, ad un certo punto, qualcosa si incrina.
E’ come se Albert perdesse quella capacità di vedere dentro Mileva, sedotto dalla bellezza esteriore della cugina Elsa: “Guardando Elsa, Mileva non era più sicura che le donne potessero raggiungere qualcosa nella società. Perché lui, il suo geniale marito, si era invaghito di una donna la cui maggiore qualità era l’aspetto fisico, una donna che apparteneva al mondo che lui stesso detestava e dal quale ancora giovanissimo aveva cercato di fuggire”.
Non si comprende se autentica o percepita attraverso la propria disillusione, quella dignità che la sua intelligenza le aveva dato agli occhi degli altri, svanisce. E non importa che permanga in alcuni amici, forse nei figli, perché se i suoi genitori ed Albert non la vedono più come una studiosa ma come una donna, madre, casalinga, che deve per forza fare i conti con la propria natura, allora tutto, davvero, crolla in lei. Non riesce più ad usare quella lente di audacia e volontà con la quale aveva guardato al proprio futuro: “Non diventerò mai indipendente, figurarsi una scienziata. Senza una laurea (…) È la fine dei miei ideali!“. Ora, senza il marito, per lei c’è solo un presente grigio e tormentato.
La figura di Mileva è densa di umanità, nel senso più pieno e letterale del termine. La sua umanità è la forza di volontà, l’autostima derivante dalla razionale consapevolezza delle proprie potenzialità, la decisione con la quale si batte per il proprio diritto allo studio e al riconoscimento dei suoi meriti professionali, la rabbia (contenuta, soffocata, mai esplosa) di veder crollare tutto il suo sogno proprio a causa dello scontrarsi con il suo essere donna in quell’alba della loro emancipazione.
Il romanzo della Drakulić presenta attraverso l’appassionata vicenda biografica di Mileva Einstein, la società del primo ‘900. Senza soffermarsi sul contesto storico-politico, glissando sulla I guerra mondiale e sull’ascesa di Hitler, il cui nome compare solo nelle ultime pagine, quando Albert le scrive di doversi allontanare dalla Germania, in quanto, come ebreo, comincia ad essere oggetto di violenze verbali e fisiche, tratteggia il profilo socio-culturale di un mondo in profondo cambiamento. Le attese di una parità di diritti almeno in campo culturale, che a volte sembrava già pronta ad essere riconosciuta come lo fu in quegli anni per Marie Curie, due volte vincitrice del Premio Nobel, sono ripetutamente respinte dal persistere di un’idea scabrosa delle donne emancipate. La gravidanza prima del matrimonio per Mileva, ed il suo abbandono con conseguente divorzio, sono esplosive per l’immagine femminile.
Delicatamente, ma onestamente, nel proprio monologo, lei riconosce non una sua colpa e nemmeno una giustificazione per Albert, ma un’oggettività che deve aver avuto un suo peso, a partire dalla tragedia della perdita della prima figlia, Lieserl, morta di scarlattina ad un anno mentre si trovava a casa dei genitori ai quali la giovane coppia l’aveva affidata nell’attesa che lui trovasse un lavoro sicuro. Anche per un uomo, infatti, la presenza di una figlia poteva essere un freno alla carriera professionale. Il rimorso di quell’abbandono non lascerà mai più Mileva e le chiederà conto giorno dopo giorno di una priorità assegnata a se stessa piuttosto che alla figlia. Sarà quel senso di colpa, accolto e alimentato in sé come un’espiazione, a distruggere la sua serenità, la sua voglia di affermarsi, a spegnere quella luce intellettuale dalla quale il giovane Einstein si era sentito illuminato (“Mi vedo scomparire e non riesco a contrastare il mio declino. La verità è che sono impotente, che sono più debole di quanto pensassi. Non riesco a perdonarmelo. Vivo con la sensazione di un progressivo decadimento”). Sembra quasi che lui sia stato deluso ancora prima di lei, deluso di aver perduto la compagna perfetta, deluso che le convenzioni e la vita avessero prevalso sulla loro passione per la fisica e la ricerca. Ciononostante, nella visione dell’autrice, questo non giustifica il suo ripudio. Ecco perché offre al monologo autobiografico di Mileva, il sostegno della voce narrante esterna, che l’accompagna nella faticosa elaborazione, da fisica esperta, di una teoria del dolore: i dati di una vita, le ipotesi, le corrispondenze di malattie psichiche, le diseguaglianze sociali, il tormento per figlia perduta, la sorella ammalata, il padre solo, il fratello dispero in guerra, il figlio problematico, aggiunti uno all’altro, “quasi fosse una somma matematica”, sono materia da cui Mileva Einstein ricava la teoria delle proprie debolezze e, per contro, delle proprie forze, una teoria sperimentata e comprovata, pronta ad essere lasciata in eredità a quante donne, dopo di lei, vorranno aspirare ad una realizzazione per la quale il mondo non sembra pronto, a quante dovranno lottare contro le frustrazioni per mantenere viva quella fiducia e quella determinazione che lei aveva perduto.