Il pranzo della domenica, di Paolo Panzacchi (Laudana Editore)
Al centro di questo romanzo, la devastazione psicologica di un ragazzo cresciuto solamente con la madre.
Frutto di un’avventura sporadica di un ricco imprenditore che, per salvaguardare famiglia ed immagine non lo aveva mai riconosciuto ufficialmente, limitandosi ad inviare periodicamente un sostanzioso assegno che la madre altrettanto regolarmente non riscuoteva, il protagonista di questo romanzo, Gianni, ha attraversato la vita per quarant’anni nutrendosi unicamente di astio e attesa di rivalsa. E si è formato solo per questo: ha addestrato corpo e mente alla violenza, alla forza bruta, ma soprattutto all’assoluta insensibilità. Da combattente a spia, compie crimini efferati senza un briciolo di pietà, di scrupolo, di incertezza. È la sua strada verso l’unica meta che vede nel suo orizzonte, la vendetta incondizionata: “Il futuro non è un gioco per cuori deboli e concede solo una possibilità, non esistono scale di grigio per il domani degli uomini (…) Vendicarsi o soccombere, il bianco o il nero (…). Per i colori c’è spazio solo nelle infanzie felici e la sua non lo è stata”.
A Bologna, Giovanni Arienti, dopo aver lasciato la guida della sua azienda ai figli che, per diversi motivi, non sono stati in grado di portarla avanti, riducendosi a doverla svendere ad un compratore cinese, fa i conti con una vita che gli ha dato tanto, ma che altrettanto si sta riprendendo. L’errore di gioventù, la notte appassionata con la bella olandese, rimasto in ombra per tanti anni, è riaffiorato improvvisamente con un messaggio recapitatogli da un giovane francese, Jacques de Sertas: “Certi conti speri di non pagarli mai, soprattutto perché non sei mai tu che ti sei tenuto a mente di dovere qualcosa a qualcuno, è sempre l’altro quello che ricorda”. Il suo passato chiede che paghi il suo debito. Non era bastato vivere ineccepibilmente per tutti gli anni successivi, come confesserà all’amico notaio: “Porto il peso degli errori di quando avrei dovuto essere forte e non ho saputo esserlo”.
Oltre a Giovanni, anche i suoi figli Riccardo e Anita, gemelli, sono chiamati a pagare un debito, quello della responsabilità della loro debolezza di fronte agli eventi e soprattutto agli altri. Perché quando qualcuno di noi cede in buona o malafede, impatta inevitabilmente su chi gli è vicino. Entrambi hanno dimostrato nella vita o sono stati costretti a rivelare l’inconsistenza o la fragilità di quei valori che il padre aveva cercato di trasmettere loro.
Ognuno dei protagonisti viene sviscerato nella complessità della sua storia personale che ha compromesso la sua serenità ed il suo equilibrio etico.
La storia si dipana su strade parallele che convergeranno, alla fine, al pranzo della domenica, il pranzo che il patriarca Giovanni amava perché era la fotografia ripetuta e aggiornata settimanalmente della famiglia che aveva costruito e che rappresentava tutta la sua vita. Ed a quel pranzo mira a presentarsi, quale convitato di pietra messaggero di un destino di espiazione. Si tratterà di capire se e chi vorrà e potrà espiare colpe proprie e di altri: “I conflitti, le parole non dette, le mille volte in cui si sarebbe solo dovuto chiedere scusa, ma l’orgoglio ha strozzato con violenza quel gesto così umano. Gli errori dovuti all’inesperienza, alla testardaggine, alla crudeltà deliberata, al menefreghismo del concetto di domani che dovrebbe governare l’agire umano ma che, troppo spesso, è derubricato a semplice ingombro di un oggi approssimativo che sa sempre più di ripiego per vite schiacciate e appiattite sul tutto e subito, sulla totale mancanza di respiro”.