Da Vinci su tre ruote, di Alessandro Agostinelli (Exòrma)
Uno scanzonato racconto di viaggio scritto in modo irresistibile: limpido e istintivo come un dialogo, ironico, arguto, profondo. Alessandro Agostinelli, giornalista e consulente in comunicazione, sulla scia di una propria emozione, immediata e in parte irrazionale, ha deciso di fare un viaggio geo-biografico su Leonardo da Vinci. Senza la pretesa di scrivere un saggio approfondito (che sarebbe stato uno degli innumerevoli), si è posto molto umilmente una domanda, semplice e apparentemente banale: “Leonardo da Vinci era davvero un genio?“.
È una sfida, ovvio. Una sfida al modo di imporre un’etichetta senza cognizione di causa o valutazione obiettiva. E’ un’avventura che decide di costruirsi su di sé.
Il viaggio viene preparato in modo molto preciso: innanzitutto per il mezzo: appassionato vespista degli anni ’70, decide di utilizzare l’ultima generazione di quello scooter storico, il tre ruote MP3 500 hpe Business, affiancato da un camper 5 posti che lo avrebbe seguito, ospitato di notte e supportato in caso di necessità. L’equipaggio viene selezionato, istruito e raddoppiato (a Lione i suoi componenti si sarebbero dati il cambio, premura opportuna considerando il viaggio di andata e ritorno).
E poi parte con le tappe ben definite e gli appuntamenti concordati con le persone giuste che lo aiutino a vedere il grande artista sotto un profilo meno usuale e altisonante del solito: un profilo dimesso, più familiare: “Se ci pensiamo meglio Leonardo non amava mangiare la carne, vestiva con giacche larghe, da pittore, liberava gli animali dalle gabbie, portava i capelli come quelli di Woodstock nel 1969, aveva litigato col padre…un precursore dei figli dei fiori!”. Ne emerge un Leonardo più delicato pur nella sua possanza culturale; un Leonardo alla nostra portata, moderno e, incontestabilmente, immenso.
A Vinci parla con la direttrice del Museo Leonardiano e l’’ex sovrintendente fiorentina, a Milano, la città del suo primo grande mecenate e committente, Ludovico il Moro, con il poeta Tomaso Kememy, poi a Genova, città molto amata da Leonardo, dove ha appuntamento con Franco Cardini.
A poco a poco si raggiunge una definizione nuova di Leonardo, più ragionata ed equa che rende merito al fertilissimo ambiente storico-culturale nel quale ha vissuto. E Agostinelli, musicofilo e musicista, ne delinea un ritratto, mutuando la metafora dal mondo del jazz, quella di “un jazzista non musicista (…), un grande improvvisatore e uno dei pochi che sapeva elevarsi sulle spalle di altri e grazie al contributo dei suoi allievi, come fossero la base ritmica dei suoi assolo (…), mettendo insieme e migliorando invenzioni precedenti, ‘suonava il tema (idea o progetto) di qualcun altro e con alcune varianti abbelliva e dava nuova vita all’opera (manufatto o attrezzo meccanico che fosse)”.
Ma il viaggio di Agostinelli ha, nell’ultima pagina, un altro esito, inatteso dopo il registro umoristico mantenuto per tutto il libro: una riflessione nostalgica sulla storia che seleziona i grandi facendoli emergere dall’ambiente circostante in modo, per certi aspetti, iniquo: “al suo cospetto, quanto sono rimasti nel sonno della storia? Non dico i derelitti e i martiri e tutti coloro, poveretti, che non avevano colpe, ma intendo anche quegli artisti e quegli ingegneri che avevano, per esempio, dato tutto già pronto al genio di Vinci, il quale, con piccolissime correzioni, aveva infine messo a punto l’invenzione. Chissà perché la storia dimentica, sposta, omette (…): mi piacerebbe più democrazia nella storia, o meglio la consapevolezza che potremmo ricordare tanto oltre la punta dell’iceberg. Invece non possiamo. E la storia ci ricorda che essa è comunque un gioco di forze nel corso del tempo e che è simile alla cronaca giornalistica, dove in vetrina trovo posto soltanto un caso alla volta, perché non si può raccontare l’intero mondo, ma solo un assaggio di come il mondo va”.