Il respiro della grande casa, di Nadia Galli (ED)

Il respiro della grande casa, di Nadia Galli (ED)

Un omaggio alla famiglia, nei suoi rapporti allargati e nel suo legame forte e profondo con la terra, le sue colture e le sue tradizioni. Nadia Galli, colpita come molti abitanti di Calderara di Reno, dalla morte di Marco Piana, bidello scolastico noto e amato da tutti, prende spunto dalla nostalgia e dal dolore condiviso per rievocare quelli che sono eroi sconosciuti della vita quotidiana, eroi semplici di quella lotta continua per la sopravvivenza che in certi periodi e per certe persone è stata più dura che in altri. Così, partendo dall’idea che “è nei colori della Natura che vive la bellezza del Mondo e nei veri sentimenti che vive la bellezza dell’uomo”, Nadia ripercorre la propria infanzia col solo, umile e devoto scopo di rendere omaggio alla grande umanità del padre Walter, dello zio Gualtiero e delle loro donne, compagne imprescindibili della loro vita, con la loro forza e vitalità. Celebra la saggezza semplice e intramontabile che hanno sviluppato con il loro vivere modesto secondo le leggi naturali dell’ecosistema contadino nel quale erano nati. Il loro sguardo disincantato e altruista custodito nei propri ricordi, viene adottato da Nadia per trasmettere a chi leggerà questo libro la stessa tenerezza di sentimenti che ha portato lei a scriverlo. Abitudini radicate nel tempo e adeguate al territorio che fanno cultura, condivisione, legami. Per questo vengono riportati come testimonianze preziose di quei legami anche le conversazioni ai pranzi di compleanno o di memoria che riuniscono nel tempo le famiglie e i loro discendenti.

L’autrice, nella sua ricostruzione storica, parte dalle origini dei fondi nei quali hanno vissuto gli avi dei Piana e dei Galli, il fondo San Vincenzo di proprietà dei Galli e il fondo Sant’Antonio di proprietà dei Piana. Indaga sui santi ai quali i fondi erano intitolati, riportando interessanti excursus biografici su Vincenzo Ferrer e Antonio Abate e spiega quello che lei stessa ha appreso dal padre sull’importanza della terra, del macero, sulla fatica immane ed i rischi per la salute che la coltivazione della canapa comportava e che andava comunque affrontata perchè era l’unica fonte di sussistenza. Racconta del vino, l’amore per la vite, il rito della degustazione, la sacralità delle buone bottiglie e il collegamento simbolico alla festa e all’ospitalità. Descrive con tenerezza l’entusiasmo di Giovanna, moglie di Gualtiero, per il sugo di pomodoro fatto in casa; e, per contro, l’insofferenza del marito e dei figli per la sfacchinata nella quale, per una settimana era coinvolta, volente o nolente, l’intera famiglia (insofferenza che non impediva di ripetere l’impresa anche l’anno successivo, se l’azdòura della casa decideva così). Era la madre di Nadia, invece, a saper fare i sughi d’uva secondo una ricetta tramandata dalla sua famiglia e che passò con piacere all’amica. Ma il patrimonio culinario era ben più vasto: dalle crescentine alla torta di riso, al fior di latte e alla zuppa inglese, “fatte con le uova e il latte prodotti nelle proprie aie e nelle proprie stalle”. Infine, non mancano le testimonianze sugli anni terribili della guerra, dell’occupazione, della Resistenza che cambiò i rapporti di genere, nella constatazione dell’importanza, anche fuori di casa, delle donne che portarono il loro aiuto ai partigiani e manifestarono per il razionamento alimentare.

Il libro è corredato di moltissime foto di persone, luoghi, monumenti e documenti: una sorta di album di ricordi che l’autrice, sostenuta dal Comune di Calderara, ha voluto consacrare alla memoria storica del luogo ma non solo. Perché tutti i paesi sono pieni di persone come Walter, Gualtiero, Giovanna,  Marco che hanno portato una grande ricchezza umana: “Quanta storia! Quanta memoria!” È l’esclamazione che più rappresenta l’autrice in questa opera che è stata frutto di una ricerca approfondita che non ha tralasciato nulla di quelle testimonianze scritte e orali che rappresentano le fonti storiografiche perché se la storia “intesa come insieme di eventi, è oggettiva”, la storiografia, che “è descrizione dei fatti nella storia, è l’insieme di tutte le forme e maniere di interpretare, trasmettere, studiare e raccontare i fatti accaduti” ed in questo senso è soggettiva, filtrata dallo storiografo. È pertanto consapevole del ripieno emotivo che farcisce la sua cronaca, un insieme di sentimenti filiali che ha conservato in sé da bambina, potenziandoli con l’indotto di amici e parenti legati da affetti altrettanto profondi.