Il manoscritto di Bologna, di Elle (EDDA)
Esordio nella narrativa di Elisabetta Laffi che sceglie di pubblicare con lo pseudonimo di ELLE per mantenere un distacco fra le due figure, quella personale e quella della scrittrice come per legittimarsi a sentirsi diversa, più libera di immedesimarsi nella sua protagonista, Mia Maldini, narratrice interna in prima persona: una rara autentica sincerità la caratterizza, un tenero atteggiamento quasi infantile nell’urgenza di estrinsecare le varie emozioni.
Il romanzo è scandito in capitoli datati come in un diario e tale è proprio la forma narrativa scelta dall’autrice, che è la più consona alla riflessione intima, alla rivisitazione di un momento preciso e circoscritto – un giorno, una settimana al massimo – che la protagonista rievoca per sè prima di tutto, per mettere a posto la percezione degli eventi, delle proprie reazioni e di quelle delle persone con cui viene in contatto. Addirittura l’indicazione così ossessiva del tempo cronologico degli accadimenti descritti che si spinge fino alla specificazione degli orari accentua ulteriormente la funzione del diario di contestualizzare il comportamento di chi scrive con la massima attenzione al dettaglio.
Fin dalla prima pagina Mia si presenta con disinvolta schiettezza nella descrizione del suo rapporto con Fabio, un amico speciale, che avrebbe potuto essere ben altro se fosse scattata la reazione chimica fra loro, come dice lui. In mancanza di questa, il loro è rimasto, anzi, è diventato, un rapporto di amicizia straordinario. Entrambi, oltre al lavoro vero e proprio, lui in uno studio di avvocato, lei nella Biblioteca Universitaria, hanno coltivato fin da ragazzini, una grande passione, quella della danza classica e sono entrati nel corpo di ballo del Teatro Comunale. La storia è così caratterizzata da uno sfondo musicale fatto di citazioni che vanno dai grandi capolavori della musica classica, Ciaikovskij, Vivaldi, Ravel, Wagner, a musicisti e cantanti contemporanei come Vasco Rossi, Frank Sinatra, Riccardo Cocciante, di cui vengono rappresentati spettacoli di successo.
E su questo sottofondo musicale, Elle tesse la sua trama gialla caratterizzata da un’ambientazione fortemente suggestiva, quella della Biblioteca Universitaria nella quale la protagonista lavora. La danza, cui dedica tutto il proprio tempo libero, non è un riempitivo a compensazione di un lavoro obbligato perchè anche quel lavoro risponde ad una sua grande, profonda passione, quella per la documentazione antica, per lo studio e l’approfondimento culturale che la porta a immergersi nel passato, storico, musicale, artistico, specificamente della sua città.
È proprio la sua passione per i libri antichi e la sua attenzione al dettaglio ad instillarle il dubbio che il manoscritto Rotulo 2, il più antico rotolo ebraico completo della Torah oggi conosciuto, custodito nella biblioteca, in una teca sigillata di cui la chiave è tenuta in cassaforte e di cui è vietata l’apertura anche al personale bibliotecario, non sia quello autentico. Il suo occhio, allenato da innumerevoli occasioni di ammirata contemplazione dell’oggetto, coglie lievissime differenze.
Ne parla subito con Fabio, naturalmente, suo primo e più sicuro confidente, ma poi va alla ricerca di pareri più competenti e si rivolge prima al suo ex professore di Letteratura e Filologia Medievale e Umanistica e poi al direttore della Biblioteca Domenicana, Rodolfo R., anch’egli esperto proprio di quel manoscritto per averne effettuato studi approfonditi.
Inizia così l’indagine di Mia che non si svolge in altro luogo che non sia la sala della Biblioteca. Indagine che porta avanti ostinatamente e faticosamente tra l’affiancamento che Fabio e il professore le offrono per affetto ed i loro continui tentativi di dissuaderla dal continuare per l’impossibilità di ottenere le prove necessarie a sostenere la sua ipotesi di sostituzione dell’originale. Mia lotta contro i propri dubbi, sostenuta dalle proprie certezze, lotta per rendersi credibile agli occhi delle persone che per lei sono importanti e lotta per dimostrare che ha ragione e che il prezioso reperto è stato trafugato. Lotta per quello che è, spinta dalle proprie passioni e dal quel suo carattere impulsivo ma ragionevole, forte e fragile insieme.
Ed il giallo, com’è frequente nella narrativa di oggi, si sfuma di thriller.
C’è tanta “bolognesità” nel primo romanzo di Elle, una “bolognesità” a 360° con i frequenti dettagli che, filtrati dalla narrazione di Mia, diventano piacevolmente divulgativi e ci si sorprende con la sensazione che, rispondano a nostre curiosità latenti. Così quando ci racconta del negozio La Coroncina, di via Indipendenza, il più antico di Bologna, nato nel 1694 o di Piazza San Domenico, pavimentata di ciottoli di fiume com’era uso nel Medioevo, o del palazzo dell’Archiginnasio, costruito dopo il Concilio di Trento con lo scopo di dare una sede unitaria all’insegnamento universitario. Dalla storia e dall’arte, alla gastronomia: ogni volta che Olga le lascia qualcosa di pronto o che passa a prendere qualcosa da mangiare nella piccola rosticceria sotto casa, si tratta sempre di specialità del territorio e della tradizione, dalle raviole alla mostarda, alla bracciadella e alla pinza, agli immancabili tortellini; e l’effetto consolatorio che il cibo preparato in un certo modo, nel rispetto della tradizione, da persone che lo fanno col cuore, pensando esattamente a chi è destinato, è un altro tratto tipico della nostra cultura, in particolare della cultura delle nostre campagne. E ancora spicca la “bolognesità” della lingua, sia quando l’autrice usa espressamente il dialetto in esclamazioni enfatiche e soprattutto nei dialoghi con le persone più anziane (nei quali è sempre e solo l’altra persona a parlarlo, mentre Mia, pur capendolo, risponde in italiano, come è d’uso per le ultime due generazioni); sia quando usa locuzioni del gergo giovanile (“ho sclerato”, “mi ha sgamata”, “dopo aver badgato”), più raramente riscontrabili in letteratura ma assolutamente emblematiche di un modo di parlare che lega una generazione rispetto alla precedente e che, riportate fra apici, finiscono per essere esplicite anche per i non bolognesi, mentre a questi offrono un soffio di genuinità impagabile