La luna e la neve, di Massimo Fagnoni (Giraldi Editore)

La luna e la neve, di Massimo Fagnoni (Giraldi Editore)

In questo racconto l’autore esprime già tutta la sua volontà e potenza introspettiva. Sfruttando l’unica linea narrativa che distingue il racconto dal romanzo, si concentra su un evento traumatico che travolge il suo protagonista, Pietro, poliziotto bolognese di mezza età, durante una ronda notturna insieme ai due compagni più giovani, Andrea e Alfio. Fermato un furgone sospetto, nella cui cabina di guida due ragazzi e una ragazza sono in evidente stato di alterazione da alcol e droga, ad uno strano fruscio proveniente dal retro, chiedono che venga aperto per controllare. È un attimo. Un capovolgimento di situazione del tutto inatteso: dal retro, dove c’è un quarto ragazzo, vengono scagliati loro addosso due pitbull che azzannano al viso Andrea, mentre la coppia che era nella cabina di guida si butta su Pietro, lei accoltellandolo due volte e lui tramortendolo con un colpo alla nuca. Solo un istante prima Pietro era riuscito a lanciare una chiamata ai Carabinieri, facendo il 112, mentre Alfio dopo un analogo brevissimo istante di sconcerto, riesce a sparare freddamente ai due cani salvando la vita ad Andrea. Ma Pietro ha già perduto conoscenza.

Si risveglia in ospedale dopo un coma indotto durato due settimane e si ritrova a fare i conti con uno stato psicofisico sconquassato. La ripresa è lunga e sofferta, incubi notturni e allucinazioni da sveglio lo tormentano in un’alternanza di contatti con la realtà e allucinazioni sensoriali: “momenti di disorientamento spaziale e temporale, perdite di equilibrio, luci improvvise, ricordi che fanno irruzione nel pensiero senza preavviso”. Riemergono figure dal suo passato che ha l’impressione di non aver ascoltato abbastanza, come “il padre che compare improvvisamente, leggero, sfumato, tremolante come una fotografia sfuocata e ingiallita dal tempo”. Diventa una sorta di specchio di coscienza, un confronto con se stesso che porta Pietro a rivedere la sua vita, il suo rapporto con la moglie, con il lavoro, con i colleghi, gli amici: rimorsi, debolezze, paure che si sovrappongono intrecciandosi come un filamento di DNA sul senso di colpa per aver indotto quella sera fatale i suoi compagni a farsi quasi ammazzare.

E soprattutto la sua rabbia, quel senso di ingiustizia assoluta per l’attacco inatteso, gratuito e crudele di quattro ragazzi che si sono permessi di rovinare per sempre la sua e la vita dei due giovani colleghi. Rabbia sorda e furente lo agita e gli soffia un desiderio di vendetta incontenibile. Non si rende conto che sta oltrepassando il confine della giustizia: “Che cos’è importante, adesso? La vendetta, la giustizia fai da te? La rabbia dei due fratelli della ragazza stuprata e mutilata? Che cosa conta davvero? Fino a quando decideremo di vivere in questa società, dovremo accettarne le regole, senza se o ma (…). Altrimenti noi saremo condannati a diventare come loro, senza regole”.

Il racconto è intenso, drammatico, punteggiato, secondo lo stile dell’autore, da sprazzi di lieve ironia, che stacca, alleggerisce un istante il pathos.