Loro, del Reno, di Elle (EDDA)

Loro, del Reno, di Elle (EDDA)

Dopo “Il manoscritto di Bologna”, Elle (nom de plume di Elisabetta Laffi, bolognese, laureata in lingue e letteratura tedesca) decide che i protagonisti di quel suo primo libro ne meritavano un secondo, perché tutti avevano ancora tanto da dire e da dare. E non solo Mia Maldini, la giovane bibliotecaria e ballerina del Teatro Comunale, appassionata di testi antichi; non solo Giulio Barbieri, professore di Filologia e Letteratura Medievale, che l’aveva affiancata nella ricerca filologica sul Rotulo 2, diventata una vera e propria indagine; non solo Fabio, anche lui ballerino del Teatro, grandissimo amico di Mia. Ma anche e soprattutto, Bologna, cornice storico-culturale straordinaria, con la prestigiosa Biblioteca Universitaria, nella quale lavora Mia, i suoi volumi antichi e preziosi, le sue sale affrescate, i suoi eventi culturali di alto spessore.
Resta anche, anzi, diventa ancora più centrale nell’intreccio narrativo, il leit-motiv che aveva ispirato l’autrice nel suo romanzo d’esordio: un antico manoscritto. Dopo il Rotulo 2, è la volta di una copia del Niebelungenlied, il Canto dei Nibelunghi, l’epopea cavalleresca dell’Alto Medioevo germanico.

Così, Elle ha proseguito la storia da dove l’aveva lasciata. La contessa bolognese Artemisia Panfili Aldobrandini ha deciso di donare alcuni manoscritti della sua biblioteca privata alla Biblioteca Universitaria. E fra essi, Vinicio, il direttore della biblioteca, conoscendo bene i gusti della sua collaboratrice, sceglie quello che contiene una versione del Niebelungenlied da assegnare alla ricerca filologica di Mia, per determinarne la provenienza e soprattutto la datazione più precisa possibile. Per Mia è un dono immenso. Comincia la lettura del suo Lied, che diventa in breve, un compagno di vita quotidiano. Questa volta non deve neppure lasciarlo sotto la teca e sfogliarlo con i guanti, di nascosto. Questa volta la copia manoscritta le viene consegnata ufficialmente e lei può stringerla fra le mani, portarla con sé ovunque, leggerla in qualunque momento. Ma proprio questa disponibilità a 360° diventerà per lei una prigione, una dolce, confortevole, consolante, disperata prigione. È Giulio a comprendere esattamente ed a trovare le parole giuste per farlo comprendere anche a lei, quel suo bisogno di restare ancorata ad una dimensione rassicurante per lei ma  inesistente nella realtà: “Il Lied diventa l’unico elemento che riesce a darti il benessere mentale ed emotivo di cui hai bisogno per uscire allo scoperto ed essere in grado di compiere i passi che sai di dover fare, senza che siano gli eventi a scorrerti addosso, tuo malgrado, prendendo il sopravvento su di te. E in tutto ciò non c’è niente di strano o di anormale. È piuttosto consueto quando ci coglie un cambiamento importante e drastico, sia che esso sia stato cercato, sia che esso sia capitato. E anche quando lo cerchiamo e lo vogliamo, ma non siamo poi così certi di riuscire a ottenerlo”.

Il poema germanico, di cui Elle riporta riassunti ed estratti, interiorizzandolo alla trama, è ripartito in Avventure nelle quali si racconta della rivalità fra Crimilde e Brunilde, divise da un inganno ordito a fin di bene ma finito in tragedia. Siegfried, potente guerriero, invincibile per essersi bagnato nel sangue del drago Fafner da lui ucciso (tranne un unico punto, sulla schiena, rimasto vulnerabile perché coperto da una foglia), ha passato la prima notte con Brunilde al posto del suo sposo Gunther che non sarebbe stato capace di domare la donna guerriera. Saputa la cosa, Brunilde ordina al fido Hagen di vendicarla uccidendo l’eroe. Ma vendetta chiama vendetta e Crimilde, fiera sposa di Siegfried, non avrà più pace fino a quando non lo vendicherà. E, covata a lungo, la sua vendetta sarà tremenda. Il banchetto nel quale decenni dopo, già moglie di Attila, invita i Burgundi, con Hagen, sarà il sanguinoso epilogo di un odio così radicato: per mano di Ildebrando, maestro d’armi di Teodorico, alleato di Attila, tutti gli ospiti saranno sterminati, ma non senza che cadano anche i Nibelunghi, gli Unni e la stessa Crimilde: “Quando il ferro d’Ildebrando sulla donna si calò e dal cumulo nefando egli solo ritornò” (Carducci, La leggenda di Teodorico). Amore e morte sono un endiadi ricorrente in letteratura e Mia si identifica in Crimilde, della quale condivide la passione prima, il senso di abbandono e tradimento poi, con il conseguente impulso alla vendetta, sotto forma non di violenza ma di chiusura.

Al centro dell’analisi psicologica dell’autrice, in questo romanzo, ci sono quelle spinte emozionali che agiscono sui rapporti di coppia: la fiducia reciproca, la disponibilità all’ascolto e soprattutto la gelosia. La struttura del diario, già felicemente adottata nel primo romanzo, permette di all’autrice di sviscerare le varie sfumature d’intensità di questo sentimento di cui è ben nota la potenzialità distruttiva. Mia, attraverso la scrittura, riesce ad elaborare la propria gelosia filtrandola con un approccio consapevole e ironico. Tante sono le occasioni che non si lascia sfuggire per provocare con la propria insistente curiosità; altrettante quelle in cui si ostina a scavare nel fondo del detto o non detto di Giulio alla ricerca di prove che la confermino nei propri sospetti, ricerca che in realtà è rivolta esattamente in direzione opposta, a liberarsi di quei sospetti. Mia, però, non se ne rende conto. Dà forma di gelosia a qualcosa che in lei è precedente il suo rapporto con Giulio: l’insicurezza, la bassa considerazione di sè. In un bellissimo dialogo lui le restituisce un’interpretazione della sua personalità sorprendendola con rivelazioni sulle sue forze e debolezze che, dal lei, dal suo punto di vista, interno e coinvolto, non era riuscita mai a raggiungere. Giulio però va oltre, ci aggiunge del proprio, perché anche lui, come tutti ha un vissuto da cui ha ottenuto forze e debolezze. In questo disallineamento di elaborazione interiore, la coppia arriva a quella fatidica telefonata di novembre, al ritorno di Mia dal suo terzo viaggio in Germania. 

In Germania Mia andava per incontrarsi con Hans Richter, giovane studioso di letteratura tedesca altomedievale che sarà il sentiero “giallo” di questo romanzo, come, nel primo, lo era stato Rodolfo R. Anche Hans pur nella sua gentilezza, disponibilità e grande competenza tecnica, avrà sempre una zona d’ombra, che inquieta Mia per pochi istanti, non sufficienti a metterla in allerta. Si reca pertanto due volte a Monaco, dove lui lavora, all’Università e una volta a Bayreuth, dove abita la sua famiglia presso cui egli conserva la propria personale raccolta di manoscritti rari. 

Da quel punto, il romanzo prende una svolta decisiva. Come già era capitato con il primo, l’autrice devia dal romance ironico al dramma introspettivo. Mia cade in uno stato depressivo nel quale ancora una volta trova, fedele e premuroso, Fabio accanto a sè: Fabio, l’amico di sempre, un amico la cui facoltà prima e assoluta è sempre stata quella di esserci, essere presente nella vita di Mia, nei momenti felici e in quelli infelici, una presenza incondizionata che non impedisce loro di avere un altro partner, ma che è pronta a colmare ogni piccola breccia o terribile voragine che si apra nella loro vita). E, oltre a Fabio, altri amici sinceri e devoti, di cui Mia, grazie al suo carattere, si ritrova circondata. Da notare che per Elle l’amicizia prescinde da sesso, età, mestiere. È solo questione d’animo. Così Olga, Oliviero, Gualtiero, pur presenti in momenti significativi, lasciano le luci della ribalta ad altre figure, nuove, bellissime: prima fra tutte la contessa Artemisia, raffinata ma profondamente sensibile, ricca di anni, di esperienza e di saggezza, che la invita più volte nella sua casa mandandola a prendere col maggiordomo-autista Fausto, al quale la penna della scrittrice riserva una sfumatura originale, quella di abbandonare, nei tragitti in auto quando è solo con Mia, la compostezza del ruolo e cogliere l’occasione per citarle in modo confidenziale e delicatamente spiritoso aneddoti di gioventù della dama. Speciale è anche la figura del piccolo, delicato, solare libraio di via delle Drapperie, Alfredo Aleandri, il cui negozio, specializzato in libri antichi, prime edizioni, e addirittura incunaboli, è per Mia un vero Paese dei Balocchi.

Il percorso di maturazione di Mia la porta a scontrarsi con la complessità dei rapporti interpersonali, nei quali spesso rabbia, insofferenza, chiusura celano conflitti interiori irrisolti impedendo la spontanea manifestazione dei sentimenti più veri. Lei stessa, sarà la prima a non riconoscersi in quella persona apatica e acida che una situazione di contrasto l’aveva condotta ad essere, portandola poi, per cambiare, a studiarsi più profondamente di quanto, senza quel conflitto, avrebbe mai fatto.