L’opera di Pietro d’Anzola per il notariato di diritto latino, a cura di Giorgio Tamba (Forni)
Il libro raccoglie gli atti del convegno tenutosi nell’ottobre 2012 in occasione del settimo centenario della morte di Pietro d’Anzola e si propone, con una serie di articoli di argomento diverso, di approfondire non solo il personaggio di Pietro, ma anche il suo contesto storico, sociale e culturale.
Per quanto l’argomento sia specifico e lo stile espositivo talvolta molto ricercato, in ogni capitolo si percepisce l’entusiasmo che ha guidato gli autori nella ricerca e nell’approfondimento di questo personaggio del notariato bolognese della seconda metà del XIII secolo, entusiasmo per la soddisfazione di arrivare a dipingere un ritratto complesso e dettagliato ed entusiasmo per la simpatia che Pietro ha finito per destare in tutti loro. Il testo, pertanto, letto con partecipazione ed attenzione, conquista a poco a poco il lettore che prende familiarità con figure come Rolandino, Salatiele, Francesco d’Accursio, e soprattutto Pietro d’Anzola e la sua famiglia, che, sconosciuti al grande pubblico, hanno invece svolto un ruolo estremamente incisivo nella storia della società dei notai e, indirettamente, nella vita sociale e giuridica della Bologna medievale.
Gli autori si sono divisi gli argomenti da approfondire anche, forse, in base alle rispettive competenze e inclinazioni professionali.
Così, Nicoletta Sarti, con un linguaggio molto particolare, al confine tra la prosa e la poesia, con immagini che cercano l’effetto comunicativo attraverso parole ed espressioni sofisticate, delinea le vicende del Comune di Bologna, fra le fazioni guelfe (i Geremei) e ghibelline (i Lambertazzi), l’arrivo del legato pontificio, i contrasti fra i cosiddetti ‘magnati’ (esponenti del lato più nobiliare) ed i popolari.
Giovanna Morelli si concentra su aspetti significativi della persona di Pietro: la sua vita pubblica, ricavata dagli atti del Santo Officio, che lo vede contestatore di Bonifacio VIII e, successivamente, interessato alle predicazioni di Fra Dolcino, ma soprattutto lo vede dedicato alla riflessione scientifica e alla didattica, più che alla pratica notarile. Si concentra anche su Francesco, figlio di Accursio, ritenuto uno dei maggiori maestri di Pietro. La sua vita si presenta già come una novità rispetto ai grandi notai bolognesi che non lasciarono mai la loro città: Francesco risiedette ed operò anche in Inghilterra.
Lorenzo Sinisi analizza specificamente l’opera scientifica di Pietro e ci riporta interessanti osservazioni sulle fonti delle opere di Pietro, ricordando come il più antico manoscritto pervenutoci della Meridiana (che costituisce l’insieme dell’Aurora di Rolandino e dell’Aurora Novissima di Pietro) sia un codice pergamenaceo del ‘300 conservato presso la Oesterraichische Nationalbibliothek di Vienna. L’autore prosegue la propria indagine confrontando le varie edizioni delle opere di Pietro, rilevando delle manipolazioni soprattutto nelle prime edizioni a stampa.
Enico Marmocchi, notaio, esamina uno degli istituti trattati da Pietro: l’usufrutto con diritto di disponibilità patrimoniale, che in sè sembrerebbe un paradosso per l’incompatibilità dei due concetti. Secondo un’interpretazione più elastica e preferita dallo stesso Pietro, invece, la volontà del testatore era proprio quella di una flessibilità del diritto, per la quale il potere di disponibilità del bene poteva estendersi fino alla vendita qualora le mutate esigenze economiche dell’usufruttuario lo richiedessero. E’ un’opinione particolarmente sensibile nei confronti del coniuge superstite (quasi sempre la moglie).
Diana Tura descrive l’ambiente della scuola notarile della seconda metà del XIII sec., una scuola di notariato con un proprio specifico corso di studi, con l’importantissima conseguenza che chi voleva esercitare la professione non poteva più limitarsi ad esibire la nomina dell’imperatore, ma doveva dimostrare di avere conseguita una preparazione specifica, tramite l’esame di notariato. Questo splendore culturale e conseguentemente
politico-sociale della corporazione dei notai raggiunse il suo apice proprio nell’età di Pietro d’Anzola, subendo, successivamente, una forte decadenza.
Rossella Rinaldi ci restituisce un’analisi della realtà sociale ed economica del periodo e dei luoghi di Pietro, attraverso un esame dei loro beni in terreni e case. Nel XIII sec. Anzola era un castrum, cioè un nucleo abitato ma con funzioni prevalentemente difensive. Entrato nei possedimenti di Romeo Pepoli, si trovò al centro delle opposizioni fra comune e chiesa, subendo poi la rivalità della più potente vicina Castelfranco. L’economia di questi luoghi era per lo più incentrata su agricoltura e allevamento L’autrice entra poi più nel dettaglio, seguendo le vicende della famiglia di Pietro: il padre, notaio a sua volta ed i tre figli, Pietro, Michele e Biagio. Appare ben presto evidente come Pietro, probabilmente per carattere, si allontani un po’ dalla famiglia di origine, lasciando ai due fratelli l’uso e poi anche la proprietà del terreno e della casa ereditata dal padre, radicandosi sempre più sia professionalmente che culturalmente, oltrechè patrimonialmente, all’interno della città.
Giorgio Tamba in un primo articolo analizza il capitolo 9 dell’Aurora Novissima di Pietro, nel quale il notaio si dedicava all’approfondimento interpretativo di un aspetto che aveva particolarmente interessato Rolandino: la figura dei procuratori nelle cause. Nel corso del XIII sec. infatti i notai avevano acquisto un ruolo attivo nello svolgimento dei processi, potendo intervenire, oltre che come redattori di formule, anche come procuratori delle parti in causa. Secondo il diritto processuale di allora, infatti, le parti in causa potevano avvalersi oltre che degli avvocati veri e propri di procuratori, che potevano essere anche amici o familiari; a poco a poco però come procuratori vennero scelti sempre più spesso i notai. Rolandino, temendo che questo ruolo più attivo ponesse i notai in contrasto con la casta degli avvocati, rifiuta di inserire nell’Ars Notariae quelle formule.
Nell’articolo conclusivo del libro, Tamba ci restituisce il ritratto più completo di Pietro d’Anzola e del suo operato culturale. Sappiamo che la propria attività di docente Pietro la esercitò in una casa nella quale, com’era uso allora, offriva anche vitto e alloggio ad alcuni studenti. Per lui dunque, l’attività di insegnamento fu più importante di tutte le altre. Volendo quindi l’autore dare rilievo al ruolo teorico-dottrinale di Pietro, lo colloca nella scia di Rolandino, rilevando come forse in risposta alle richieste degli studenti che lamentavano l’incompletezza dell’Aurora di Rolandino, Pietro abbia inserito intenzionalmente la propria “Aurora novissima” nel solco di Rolandino stesso, nell’ambito di un dialogo fra ‘antiqui’ e ‘moderni’. Di questo equilibrio di rispetto e completezza furono consapevoli la scuola di notariato che negli incunaboli integrò le loro opere e la società dei notai che volle affiancare l’effigie di Rolandino e Pietro nella cappella della corporazione, in San Petronio. Ne continuò ad essere consapevole la tradizione che, in due pagine miniate del Liber iurium et privilegiorum affiancò le raffigurazioni ideali delle loro due scuole: “era il riconoscimento, da parte dei notai attivi in Bologna, che tra le opere della scuola di notariato bolognese, la scuola che aveva fatto della Summa di Rolanino il riferimento essenziale della teoria e della pratia notarile, il suo commento da parte di Pietro d’Anzola si collocava al posto di eccellenza”.