Dante in Love, di Giuseppe Conte (Giunti)
Nato dal senso di desolazione, abbandono e solitudine che l’autore si è trovato a vivere nel periodo del primo lockdown 2020, sulla suggestione di “ritrovarsi in una selva oscura” e che per tutto il genere umano e non solo per lui “la diritta via” fosse “smarrita”, Giuseppe Conte, poeta, scrittore, drammaturgo, librettista e saggista, ha concepito questo romanzo breve o racconto lungo per far ritornare l’ombra di Dante in mezzo a noi, applicando al poeta un contrappasso tipico della sua commedia: come Dante aveva immaginato di compiere un viaggio di formazione ed espiazione vivo fra le ombre dei morti attraverso l’inferno, il Purgatorio e il Paradiso, così dopo la sua morte, Dio decide che, ogni anno, il 25 di marzo, lo stesso giorno in cui era iniziato il suo cammino da vivo fra le ombre, dovrà ritornare, come ombra fra i vivi, fino a quando non avesse incontrato una giovane che lo avesse amato. Sembrava una maledizione. Come avrebbe mai potuto ottenere l’amore di una donna se era invisibile e muto? Gli unici sensi che gli vengono concessi sono l’udito, la vista e l’olfatto così che il suo rapporto col mondo è esclusivamente passivo.
Per 700 anni, dunque, l’ombra augusta di Dante riemerge nella sua Firenze, fra San Giovanni e il Battistero seguendo il progresso del mondo, le novità, i cambiamenti climatici, di costume; vede persone di diverse fisionomie, parlanti lingue fra le più svariate, ammirando le donne in ricordo della sua giovinezza: “La passione d’amore per me è stata la prima, e col tempo ho riconosciuto che è stata la più giusta e la più vera (…) Cambiano gli abiti, le pettinature, gli ornamenti, i portamenti, e va bene, ma io ti dico che la bellezza non cambia perché, con tutto quello che passa, lei non ha niente a che fare. La bellezza è eterna, quella vera, è materia che diventa luce, che prende su di sé tutte le vibrazioni e i terremoti dello spirito”. Fino a quando non incontra Grace, una studentessa americana, che lo attrae di più delle altre. E non per la sua bellezza esteriore: in Grace è attratto da qualcos’altro e, per la prima volta, ancora nel solco del contrappasso che l’autore gli ha predisposto, la segue, guidato da lei come da Virgilio e Beatrice, allontanandosi dagli unici luoghi nei quali per sette secoli si era aggirato. La segue perché ha avuto la sensazione che lei, per la prima volta in 700 anni, abbia percepito la sua presenza.
Conte ci porta Dante oggi, fra noi, perché racconti quello che è stato come uomo, non solo come poeta o come politico, secondo i ruoli che più sono noti e insegnati di lui. Perché prima di tutto Dante è stato un giovane innamorato della vita, dell’amore, dell’amicizia, del divertimento, della spensieratezza, di cui è prova quello splendido sonetto sulla giovinezza, Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io. E conoscere questo lato di Dante ce lo fa sentire ancora più vicino a noi, ancora oggi: “Ti leggiamo nel XXI secolo, a settecento anni da quando la tua anima è volata davanti al Signore dell’Universo, ti leggeranno sinchè durerà la specie umana. E tu continuerai a parlare alle anime, a mostrare che tutto si risolve nel viaggio arduo che va dall’oscurità alla luce, nell’amare, nell’azione di amare, forma di energia che neppure il vento e il sole ne posseggono una più forte”.