La pace viaggia in autobus, di Renato Ghezzi (Le Mezzelane)

La pace viaggia in autobus, di Renato Ghezzi (Le Mezzelane)

Renato Ghezzi, ingegnere elettronico milanese con la passione per la scrittura storica, spesso legata ad ambienti sportivi non fra quelli solitamente più gettonati, ha trasformato in romanzo un episodio poco noto ma profondamente significativo degli anni ’70.

Un campionato di ping pong in Giappone, un incontro casuale (o forse no, come si scoprirà nel corso del romanzo), un impensabile gemellaggio cino-americano negli anni della guerra fredda e dell’intervento USA in Vietnam sono i fili principali di una trama fondamentalmente autentica. Sono gli anni in cui la Repubblica popolare cinese faticava ad essere riconosciuta, in cui arrivò alla rottura con la Russia comunista che non aveva gradito la loro invasione della Cecoslovacchia, venendosi così a trovare allo scoperto, fra due fuochi, quello sovietico e quello capitalista americano: “Se uno dei due giganti avesse deciso di stritolarci, l’altro non avrebbe mosso un dito per impedirlo”. Gli anni in cui la Rivoluzione culturale partita nel 1966, bandì, fra tutti gli altri sport, anche il ping pong “sintomo di individualismo borghese che andava contro il popolo e la rivoluzione”. E a quei tempi, “la fiducia nel Presidente Mao veniva prima della solidarietà con i compagni di squadra”, per qualcuno; qualcuno come Zhuang Zedong, il più forte campione di tutta la Cina, per motivi che troverà il coraggio di spiegare solo alla fine.

In un’alternanza fra passato, in quegli anni, e presente, nel 2006, Ghezzi intreccia una bellissima storia con protagonisti realmente vissuti che nel 2006 fecero una sorta di viaggio commemorativo, recandosi in Cina dove tutto ebbe inizio. 

La storia si dipana nei racconti dei vari personaggi che, con il distacco della lontananza, sono pronti a recuperare ricordi che per decenni avevano soggiogato in sé per rimorso, rimpianto, paura. Tim Boggan, Judy, Olga, John Tannehill e Frances, la madre di Glenn Cowan, il giovane hippy, la scintilla che fece divampare la fiamma che sciolse il ghiaccio dei rapporti fra Cina e Stati Uniti, sopravvissuta al figlio e, novantenne, in salute fisica e mentale, ma soprattutto emotiva, da poter e volere partecipare a quel viaggio al posto e per conto di lui. Ognuno di loro ha un pezzo di un puzzle che non ha mai rivelato il suo disegno originale. Sanno bene le conseguenze che quel disegno ebbe nella storia politica delle due nazioni e forse del mondo intero, ma non sanno che cosa realmente mise le basi per quelle conseguenze. 

Un po’ a Pechino, un po’ a Nagoja, un po’ l’anno dopo, a Detroit quando i cinesi ricambieranno loro la visita, quei pezzi verranno posti sul tavolo della loro amicizia, con fiducia e, finalmente, bisogno personale di contribuire alla visione globale dell’evento. Un evento a lungo ritenuto casuale, unicamente frutto dell’esuberanza e del protagonismo di Glenn, che però alla fine si rivelerà tutt’altro. 

Quando con la sagacia politica che lo contraddistingueva, il premier cinese Zhou Enlai, capì che l’unica vetrina internazionale che poteva permettere alla Cina di farsi riconoscere poteva essere, in quel momento, quella dei campionati mondiali di tennis da tavolo che nel 1971 si sarebbero tenuti in Giappone, riaprì le “frontiere” allo sport, richiamando dalla comune di Shanxi quelli che erano stati relegati per comportamenti reazionari. Come lasciare fuori la squadra da sempre più forte in quello sport? Il vento era cambiato. Ma quello sarebbe stato solo l’inizio. 

I primi approcci fra le due squadre furono lievi, distaccati, superficiali. Fino a quando, alla ricerca di fama e sulla spinta della propria natura estroversa ampliata dalla filosofia hippy, Glenn Cowan, rimasto casualmente solo, forse, durante un allenamento, salì per caso, forse, sull’autobus della squadra cinese. Dopo un attimo di gelo, pronunciò il suo breve discorso rompighiaccio: “Anche noi stiamo sperimentando l’oppressione e la stiamo combattendo. Vedrete, tra non molto avremo noi il controllo, perchè la gente al vertice sta perdendo il contatto con la realtà”. A quelle parole fece seguito l’approccio del capitano, Zhuang Zedong che, dopo un primo momento di incertezza, considerando che, oltre a vietar loro di scambiare regali, foto, saluti con gli Americani, era stato anche detto Prima l’amicizia poi il risultato, sull’impulso dell’educazione confuciana ricevuta che gli aveva insegnato a rispettare sempre l’ospite, a sancire quella frattura dell’americano come presupposto di un nuovo legame, gli consegnò un dono.

La spensierata giovinezza dei giocatori li lasciò godere quel momento così straordinario senza che percepissero uno strano sottile velo di coincidenze che difficilmente potevano essere ritenute casuali. Solo dopo anni, solo a quel ritrovo del 2006, cominciarono a profilarsi dubbi, sospetti, domande dirette. E solo allora quelle domande troveranno risposte.