Da che arte stai?, di Luca Beatrice (Mondadori Electa)

Da che arte stai?, di Luca Beatrice (Mondadori Electa)

Splendida edizione per un testo che si propone di essere divulgativo e competente e nello stesso appassionante e convincente su un tema difficile come quello dell’arte contemporanea.

Luca Beatrice, critico d’arte, curatore e docente all’Accademia Albertina di Torino, accetta la duplice sfida e pubblica per Rizzoli questa guida serie di 10 lezioni, che sono in realtà 10 avventure nei quadri di autori che hanno dato un contributo fondamentale al progresso artistico negli ultimi decenni. Anche loro si trovavano davanti una sfida, quella di dire ancora, dopo tutto il già, eccellentemente, detto in questo campo della cultura, qualche cosa di nuovo e di diverso. E ci sono riusciti.

È stata senza dubbio una sfida, quella di Marcel Duchamp che, nel 1917 espone un oggetto dell’uso più quotidiano che ci sia, intitolandolo Fontaine R. Mutt, il più irriverente dei suoi ready-made, sostenendo che “sono la scelta dell’oggetto (e non l’esecuzione personale) e il luogo dove l’opera viene esposta a connotarla artisticamente”. Ma anche quella di De Chirico i cui famosi manichini che sostituiscono le statue della sua ben conosciuta e amata arte classica, “nonostante siano privi delle espressioni facciali, diventano personaggi capaci di interpretare diversi ruoli, muse, poeti, amanti”. È una sfida quella del Guernica di Picasso, anzi di tutto Picasso che esprime non solo l’inquietudine come già in tanti avevano espresso, ma un’inquietudine più sottile soprattutto calata nella realtà, diventando così un’arte di denuncia di guerre, dittature, disagio sociale.

A metà del XX secolo, il quadro comincia a essere sentito come limitativo. Rauschenberg è uno dei primi artisti a cercare qualcosa in più, assemblando oggetti in strutture ibride tra quadri e sculture. È l’arte informale nella quale “tra grovigli di segni, macchie colorate, gesti profondi che esprimono la soggettività e il sentimento dell’artista, s’impone come cerniera tra la devastazione bellica e la voglia di ricominciare”. Un’aspirazione non più locale – come lo erano molte correnti artistiche del passato – ma universale: dall’America arriva al Giappone. Nel frattempo, a riprova di questo bisogno di esondazione, in Argentina, il movimento nato dal Manifesto Blanco, vuole unire suono, movimento, tempo, colore e spazio. Lucio Fontana è uno degli esponenti più straordinari di questa corrente. Comprensibile, dopo queste premesse e queste tappe, l’estuario delle varie correnti nella Pop Art che a sua volta, come un uragano, investe Europa e mondo intero. E Pop Art = Andy Warhol: “l’ultimo artista in ordine di tempo ad aver cambiato definitivamente la storia dell’arte. Se esiste un calendario in questa materia, c’è un ante Warhol e un post Warhol”.

Warhol è qualcosa di talmente innovativo che se si comincia a studiarlo, ci stuzzica Beatrice, non si smette più, catturati dal potenziale del suo metalinguaggio. Con lui l’arte diventa business e comunicazione. Si capiscono finalmente opere irrise da chi non sa quanta elaborazione emotiva vi sia dietro: le scatole della Brillo sono l’esempio di come oggetti di uso quotidiano elevati ad opere d’arte vogliano portare l’arte al consumo di tutti; le auto incidentate di César esprimono il contraltare della bellezza di un’auto, l’incidente, il pericolo, la morte; i monumenti impacchettati di Christo ci fanno fare uno sforzo di immaginazione dimostrando che a volte “cancellare equivale a sottlineare”. È ancora Pop Art quella di David Hockney che, ricevuto in regalo un iPad nel 2010 (a 77 anni), comincia a produrre disegni e rielaborazione di dipinti classici entusiasta, non solo delle potenzialità delle applicazioni grafiche ma anche della possibilità di avere a disposizione gli strumenti per esprimersi in qualunque momento e in qualunque luogo. L’Arte Povera, ulteriore derivato della Pop Art prende atto dei movimenti sociali del ’68 e ne persegue l’azione contestataria e politica, avvolgendo strati vasti di destinatari, non più élite colte, ma uomini e donne comuni, ai quali i messaggi artistici devono arrivare. Anche donne, sì che finalmente si riescono ad esprimere come genere, non più come individui (nella storia dell’arte non sono mancate ma erano figure che si distaccavano dal proprio ambiente). Egregiamente.

Beatrice con questo libro che è un piccolo tesoretto che non dovrebbe mancare in nessuna biblioteca domestica (diamo per scontato che sia presente in tutte quelle pubbliche), ci riesce: ci racconta da dove sono partiti tanti artisti, cosa pensavano, a cosa aspirassero, cosa hanno saputo inventare per dire qualcosa di nuovo o dire qualcosa già detto in modo nuovo o, a volte, cosa hanno voluto chiedere attraverso le loro opere. Perchè non ci sono solo certezze nell’arte, ma anche tanti dubbi, conflitti, domande poste a chi, di fronte all’opera, vorrà non girarsi dall’altra parte pensando “è arte, questa?” ma fermarsi, incuriosirsi e cercare di capire. Perchè, in fondo, ciascuno di noi ha una componente artistica dentro, un modo di vedere il bello diverso dagli altri, di vedere bello qualcosa che non lo è per tutti. E’ questo che l’autore vuole portarci a capire chiedendoci di che arte siamo.

La molteplicità di suggestioni sminuisce l’idea stessa di inizio e fine di una corrente artistica. Ancor più dopo la pubblicazione de L’interpretazione dei sogni di Freud che riconosce loro la possibilità di superare i tradizionali tabù, all’arte viene riconosciuto, fra gli altri, questo potere speciale: condurre ed esprimere l’oltre il razionale. E in modo continuo, infinito: 2007, avvento degli Smartphone. Chi penserebbe a parlarne in un libro di storia dell’arte? Eppure, Luca Beatrice lo fa perché “un telefono che si aggancia più allo sguardo che all’orecchio” osserva molto acutamente “ha mutato radicalmente non soltanto le nostre abitudini, ma anche i linguaggi della comunicazione (…). Dal 2007 chiunque sia dotato di uno smartphone è in grado di scattare fotografie e pubblicarle sui social”, ponendoci sotto gli occhi una rivoluzione impareggiabile: “attraverso il meccanismo della condivisione conta più il parere degli amici o dei follower di quello degli esperti”!

L’arte contemporanea è un’onda mobile e, “l’opera d’arte non nasce per caso, ma collegata a una realtà sociale, a un insieme di persone che vogliono dire qualcosa”.