Il mistero delle ossa di Dante, di Roberto Balzani (Minerva)
Leggere nel 2021, settimo centenario della morte di Dante, questo originale e curato romanzo storico di Roberto Balzani, docente universitario di Storia Contemporanea, incentrato sul sesto centenario della nascita e sui cosiddetti giubilei che fecero seguito ad un evento straordinario accaduto in quell’anno stesso, è particolarmente emozionante. Ci si sente ancor più calati in quella che è la storia di un ricordo, di una conoscenza che va preservata. Ma non solo. Balzani coglie lo spunto per un’introspezione umana molto acuta, sorridendo di quelle architetture costruite intorno ad un sogno, un’illusione, una speranza. Se i protagonisti di questa storia vera hanno agito sulla spinta di progetti politici o rivendicazioni municipalistiche o anche impulsi di gratificazione personale, hanno contribuito comunque a sostenere l’immagine di una figura fra le più grandi e incisive di tutto il patrimonio culturale mondiale ed “il patrimonio è lo scrigno delle bellezze e degli oggetti che decidiamo di conservare per le generazioni a venire, nei musei, nelle chiese o altrove. Ma necessita di una magia per parlare. Deve poter entrare in relazione, deve poter comunicare”. E qui intervengono quelle figure storiche comuni, quei protagonisti fantasiosi, ma non di fantasia, bensì reali, che agiscono sulla scena di questa storia sconosciuta, incredibile, divertente, commovente.
La storia comincia nel 1873, per ritornare subito ad otto anni prima. Michele, archivista nella città di Ravenna, decide di riprendere in mano, rileggere – alla luce più obiettiva che il distacco dagli eventi riflette – gli incartamenti relativi agli episodi che segnarono quei mesi del 1865 quando ci si apprestava a celebrare il sesto centenario della nascita del Sommo Poeta. In primis il ritrovamento inaspettato delle ossa di Dante: nell’atto di abbattere i vecchi muri della cappella di Braccioforte dov’era collocato il tempietto ritenuto il sepolcro del poeta, pur nella consapevolezza che non conteneva i suoi resti, in un’intercapedine fu rivenuta una cassetta di legno con una scritta inequivocabile: “Dantis ossa ame fra’ Antonio Santi hic posita anno 1677 die 18 Octobris“.
Ovviamente si imponevano degli accertamenti che il sindaco di allora, il conte Rasponi, appartenente ai cosiddetti napoleonidi, in quanto discendente dalla famiglia Bonaparte (nipote di Gioacchino Murat che sposò Carolina), fu lesto a predisporre. Sul momento non ci fece caso, ma a posteriori, Michele si rende conto di varie coincidenze che non dovevano essere poi tali: perchè proprio in quel momento la cassetta fu rinvenuta? Perchè, confrontandone il contenuto con quello dell’urna del sepolcro tradizionale, quello che vi si trovava ne costituiva l’esatto completamento? Perchè alla cerimonia erano presenti proprio quattro uomini politici che non erano di Ravenna e che l’unica cosa che avevano in comune era l’appartenenza alle file liberali? Perchè Rasponi si preoccupò di predisporre subito la perizia calligrafica di frate Antonio e di rogitare, alla presenza di due notai, l’autenticità del ritrovamento? Perchè furono interpellati “sapienti di tutte le discipline – intellettuali, chirurghi, calligrafi, farmacisti, fisici – salvo i nuovissimi specialisti del corpo umano: anatomisti e antropologi”? Lo stesso Lombroso aveva scritto consigliando una serie di accertamenti e misurazioni per verificare l’autenticità dei resti, che rimasero inascoltati.
Passano gli anni. Nel 1890 Ravenna fa un nuovo tentativo di marketing, diremmo noi oggi, di recupero di immagine. Constatando la dispersione delle ricorrenze secolari che impedivano alle stesse persone di viverle due volte, si escogita il giubileo, decidendo di festeggiare i 25 anni del ritrovamento delle ossa di Dante. Michele contatta Corrado Ricci (anche questo personaggio storico) della biblioteca universitaria di Bologna che un paio di anni prima era stato uno degli organizzatori delle feste per l’VIII secolo dell’Università di Bologna: anche in quel caso, esigenze ben più sottili della semplice resa di onori al prestigio dello studio bolognese avevano incalzato. E Ricci fa quello che 25 anni prima aveva fatto Rasponi.
Michele continua ad occuparsi a tempo perso quando non per incarico lavorativo vero e proprio, di scoprire i moventi reali, subliminali, che li sottendono. La sua indagine è qualcosa di molto profondo. Non è la solita investigazione alla ricerca del colpevole di un reato; è la ricerca di spinte storico-sociali che muovono i singoli per muovere i tempi e le classi. Ed il protagonista non è l’eroe che risolve, è l’individuo comune che osserva e registra; che archivia: documenti ma anche constatazioni, dati e fatti; idee e propositi. A dimostrazione che la storia è fatta di persone. E molto più di persone ignote, semplici, comuni, che di grandi figure che si guadagnano l’immortalità.
Il romanzo di Balzani, nel quale la copiosa materia prima storica autentica viene “cucita” dall’intreccio narrativo inventato, è uno splendido ritratto di una società italiana che non è radicata nel contesto storico di un secolo preciso, ma che si riverbera ancora oggi, con gli stessi riflessi di ambizioni, rivalità politiche, contrapposizioni sociali, calcoli e artefici. Una società alla ricerca di unità e globalizzazione ma nello stesso tempo ancora fortemente attratta dalle proprie glorie nazionali. Dante ne è la più fulgida. E se pure non si possa negare la sua strumentalizzazione, l’autore attraverso le parole di Claudio, consigliere comunale, “anche lui ammalato di libri, di stampa, di giornali”, riconosce che “Dante era l’espressione di una genialità popolare affermatasi nonostante le faide, le violenze e l’esilio: era il genuino distillato della schiatta italica, fiore solitario sopravvissuto allo scalpiccìo dei cavalli corazzati dei signori sulle zolle tormentate. La sua opera, tuttavia, lo consegnava a un destino non nazionale, ma mondiale: il suo messaggio di fratellanza e di redenzione era universale”.