Il dio degli incroci, di Stefano Cascavilla (Exòrma)
Dis Manibus.
E’ sicuramente la prima volta che negli ultimi secoli un libro si apre con questa dedica. Agli Dei Mani. Nella cultura dell’antica Roma i Mani erano gli spiriti degli antenati che rimanevano legati alla famiglia e quindi alla casa; i Romani li distinguevano in Penati, quelli che custodivano la dispensa, fonte di sopravvivenza per la famiglia, e Lari, quelli che, più in generale proteggevano la casa ed il campo annesso. Poi c’era Hestia, la divinità del focolare domestico.
Stefano Cascavilla, laureato in economia e architettura, appassionato di discipline tradizionali di progettazione, alpinismo, mitologia e psicologia junghiana, restituisce in questo saggio corredato di foto, immagini e una ricchissima bibliografia, che si legge d’un fiato come un romanzo storico, di avventura e introspezione, la propria originale e feconda avventura alla scoperta di un mondo inimmaginabile, quello dei luoghi e dell’anima che racchiudono.
Da racconto di viaggio ed esperienza in prima persona, il libro diventa così il romanzo di un protagonista inconsueto, il Genius Loci, il dio del luogo (termine coniato nel IV sec. A.C. da Servio, relatore latino, nel suo Commento all’Eneide): un protagonista introverso e misterioso che è stato oltraggiato dalla storia. Dopo che per secoli i popoli hanno costruito – nel senso più lato del termine: case, paesi, città, civiltà – tenendo conto delle suggestioni di questo spirito, l’evoluzione culturale a largo raggio, non solo tecnologica, anzi, prima di tutto religiosa, in particolare nelle sue maggiori esponenti monoteiste e nello stesso tempo, nel loro opposto, l’agnosticismo e l’ateismo, ha fatto tabula rasa di tutto quel mondo di manifestazioni spirituali plurime che arricchivano le culture di ogni popolo e civiltà: “In un mondo desacralizzato l’invisibile non ha dimora, è relegato nell’angolo imbarazzante delle fantasticherie, considerato il retaggio di un passato superstizioso e irrazionale. Non qualcosa da prendere sul serio”. Ma siamo sicuri che sia la scelta giusta?
La percezione di un genius loci è solo un effetto di una predisposizione dell’animo all’ascolto della Natura nella sua primordialità, quando ancora non si conoscevano le cause di tanti fenomeni e tutto veniva ricondotto a spiriti benigni o maligni a seconda dei casi.
Questo è il primo degli affascinanti messaggi che il libro ci lascia: un universo di divinità minori e maggiori espressamente adibite alla protezione dei luoghi in forza della loro utilità per l’uomo. Il primo Genius Loci citato da Cascavilla, che dà il titolo al libro, il Genio degli Incroci è emblematico: il dio che vigila il luogo in cui si incontrano persone provenienti da direzioni diverse, con lo scopo di portare armonia. Se ci riflettiamo, quante volte nella nostra vita quotidiana, attraversiamo degli incroci, stradali e non: sono incroci anche quelli fra corridoi di un ufficio, di una scuola, fra isolati. Oltre al concetto di incontro e scambio, c’è un elemento simbolico ancora più profondo, quello della scelta: “L’incrocio è un luogo ma non un luogo qualsiasi. È una discontinuità nel tracciato in cui si aprono possibilità: puoi cambiare percorso, devi attraversare, devi stare un po’ più attento. Hai delle scelte, accade o potrebbe accadere qualcosa”. In questo senso, anche le rotonde offrono possibilità di scelta, sebbene l’autore le ritenga una degenerazione dell’incrocio tradizionale: “tanto amate dai contemporanei demiurghi del traffico. Un colpo di bulldozer ed Hermes svanisce, sfrattato da un nuovo anonimo dio della rotatoria, automobilistico, futurista, implacabile”.
Ma non sono solo gli incroci nei quali aleggia un Genius Loci, né solo le case. Si pensi alle città, che in ogni cultura hanno un’origine divina: un qualche dio si è rivelato in forme diverse per suggerire il punto in cui, lui presente, era garantita la sacralità del luogo e la sua adeguatezza a costituire fondamento di una civiltà. Palpitazioni divine sono sempre state percepite nei boschi e nelle foreste, nei monti, che peraltro ancora suscitano in noi un fascino tra il distensivo e l’inquietante; la montagna è palesemente “espressione sfrontata della potenza tellurica della Natura”: basti pensare a quante cime sono ritenute sede degli dei, dall’Olimpo che tutti noi conosciamo, all’Himalaya dimora del dio Himavat, al monte Penna dimora del celtico dio Penn delle prime popolazioni ligure; ma la montagna, come la foresta, è allo stesso tempo “ostile, respingente, pericolosa, un ambiente che vuole chiaramente tenerci lontano (…). Monte Maledetto era il nome di quello che oggi chiamiamo Monte Bianco”. Per millenni questa austera sacralità ha salvaguardato l’inviolabilità della montagna, fino a quando l’uomo moderno, privo di inibizioni mistiche, ne ha fatto un traguardo da conquistare. E poi le acque, fiumi, laghi e sorgenti: quante acque minerali portano ancora sulle nostre tavole il nome di un santo o una santa dato alla sua sorgente.
L’autore si è documentato con minuziosa precisione, spinto da curiosità, interesse e, a poco a poco, sempre maggior coinvolgimento. E ci accompagna così in un viaggio che spesso non deve raggiungere luoghi esotici lontani per farci scoprire una timida e sconosciuta divinità che da millenni protegge un particolare posto.
Protegge. Ma non sempre e non solo. A volte, certi luoghi sono infestati più che protetti da un Genius Loci, che rappresenta la spiritualità dominante della natura. È l’altro affascinante messaggio del libro: l’invito caldeggiato, ripetuto, enfatizzato a non perdere – anzi, ormai, piuttosto, a recuperare – il contatto con la Natura nel suo senso primordiale, quello dell’uomo privo dei rivestimenti della cultura e del progresso, che sentiva l’alito di un dio in ogni cosa. Suggestionato dagli studi fatti, l’autore riesce a trovare una sintesi tra un passato perduto ed un presente conscio di valori antropologici che, in un contesto come quello di oggi volto alla sostenibilità a 360°, che si preoccupa di salvaguardare non solo il verde, le acque, i cieli, ma anche i beni culturali nelle loro articolate espressioni, permette ancora, se lo vogliamo, di recuperare suggestioni importanti per la nostra umanità, percezioni profonde che vale la pena di provare ancora, senza vergognarsene, perché sentirsi superiori a queste suggestioni non è sintomo di evoluzione ma di miopia culturale. Si perde qualcosa, si perde tanto. E Cascavilla, architetto occidentale, colto, moderno, ha capito come conciliare le due forze contrapposte che oggi inevitabilmente si fronteggiano in tante occasioni e modalità: passato e futuro. E ci illumina con una lettura razionale di un sano compromesso: “Recuperare una prospettiva animistica non significa adorare le pietre (…). Dell’animismo va recuperato in primo luogo il senso di reciprocità morale verso la Natura e verso la materia, certamente, ma anche quella artificiale delle costruzioni umane”. È una visione non solo moderna ma soprattutto consapevole e ragionata: “Non si tratta di fermare tutto per rispettare il luogo ma di comprenderne la vocazione (…) Se milioni di persone prendono aerei per visitare o trasferirsi a Boston, Londra, Honk Kong, vuol dire che gli dei di quei luoghi hanno molto da dire alla nostra anima (…). La retorica della cementificazione selvaggia, della plastica cattiva, del legno buono sul tetto, può andar bene per il dibattito un tanto al chilo, ma porta molto fuori strada. Negoziare con il dio non significa rinunciare al cemento. È molto più difficile. La chiesa di San Giovanni sull’autostrada del sole, il ponte sul Basento a Potenza sono opere in cemento armato ma anche capolavori dell’architettura”. Ascoltare lo spirito del luogo è una predisposizione ancora accessibile per noi, così come siamo, con la nostra modernità e tecnologia. Quello che conta è solo saper ascoltare e rispettare. E per assaporare i luoghi in modo nuovo, possiamo e dobbiamo usare modi nuovi. Ma l’oggetto dell’ascolto può ancora essere quel Genius Loci che parla da millenni dalle sue molteplici forme e denominazioni.