Il tesoro scomparso di Federico II, di Chiara Taormina (Il Ciliegio)

Il tesoro scomparso di Federico II, di Chiara Taormina (Il Ciliegio)

Fantasy e storia, avventura e viaggio in un romanzo che porta i più giovani a fare la conoscenza dell’imperatore Federico II. Difficile che a 10-11 anni, un bambino sappia chi era Federico II e tantomeno che cosa abbia significato per la cultura del XIII secolo. Chiara Taormina, siciliana, scrittrice per ragazzi appassionata di arte e cultura orientale, dedica questo nuovo libro più che alla figura personale dell’imperatore, alle tracce artistiche del suo tempo, costruendo l’intreccio del suo romanzo come una caccia al tesoro dal ritmo serrato perfettamente calibrato sulle attitudini recettive dei lettori cui è destinato, adatto ad avvincerli senza sovraccaricarli, disseminando la giusta dose di dettagli storico-artistici attraverso immagini suggestive.

L’attenzione viene subito catturata attraverso un’introduzione già collaudata ma sempre efficace: un piccolo negozio di libri, un libraio un po’ anziano dall’aria mansueta ed enigmatica, un libro misterioso, speciale fin dalla copertina, dal titolo, dal peso. Questa introduzione è una chiave che apre più porte: quella dell’interesse per la lettura, quella del rispetto per le generazioni precedenti, quelle della libertà di immaginazione. Sono valori da sempre e tuttora fondamentali per la formazione di menti aperte e lo sviluppo di relazioni intergenerazionali positive.

Eneas, un ragazzino palermitano di dodici anni ha scoperto la piccola libreria del signor Oscar Sibilla, dove si reca di nascosto da amici e genitori, libero di seguire i propri sogni e le proprie curiosità: “Sapere che esisteva un luogo simile era il suo piccolo segreto, il suo sorriso nascosto”. Fino a quando però non gli viene consegnato un libro stranissimo, “un volumetto in pelle marrone con le scritte dorate”: Il tesoro scomparso di Federico II di Gustav Sbylenk. Sfogliandolo il mistero si infittisce quando, da una strana scritta il bambino, appassionato di giochi enigmistici, anagrammandola, scopre il proprio nome. 

Un fantasy gioca da sempre, per sua natura, con le forze del bene e del male. In questa storia, il bene è rappresentato dall’imperatore Federico II e la sua corte di artisti, letterati e scienziati, fra i quali c’era un certo Michele Scoto, personaggio storico, filosofo, astrologo e alchimista scozzese. Nel romanzo, l’autrice crea il personaggio di Sbylenk, erede degli studi di Scoto, il quale era in possesso di una pietra magica consegnatagli da una vecchia orientale, insieme alla rivelazione del suo immenso potere, quello di trasmettere la conoscenza di ciò che è bene e ciò che è male. Sbylenk sperava che quel potere sovrannaturale gli fornisse la conoscenza superiore per concludere gli studi di Scoto.

Il rivale, rappresentante del male, è l’alchimista Alberto Novimus che vuole impadronirsi della pietra per i propri scopi di dominio. Ma sapeva che, secondo una profezia, solo un discendente di Sbylenk, secoli dopo, avrebbe potuto realmente sfruttare il potere della pietra. Così, in uno stile tra il fantasy e il cavalleresco, i due eroi, quello buono e quello malvagio, si trovano a lottare fra loro. uno per la pace, uno per la guerra, uno per l’amore, uno per l’odio. E la prima scelta che un bambino che cresce deve fare è paradossalmente la più difficile, importante, decisiva per la sua vita e per quella di chi gli sta intorno. Per questo dovrà sì essere lui a compiere l’impresa, ma riuscirà soltanto grazie all’aiuto di Oscar, Federico, e Nives, l’anziano libraio, l’amico del passato, un animale. Contatti significativi: con le generazioni precedenti, con la storia, con la natura.

Il viaggio nel tempo comincia dal retrobottega del libraio dove Eneas apprende cosa sia un uroboro, l’antico simbolo presente in tutti i popoli e in tutte le epoche di un serpente o un drago che si morde la coda, formando un cerchio senza inizio né fine. Quell’oggetto gli permette di accedere ad una dimensione fantastica sancendo la continuità della storia nei suoi corsi e ricorsi.

Dopo il salto dimensionale nel tempo, il viaggio di Eneas diventa – ed è l’aspetto più originale e seducente del romanzo – un percorso attraverso i luoghi storici della dinastia di Federico II, tracce che ancora oggi si possono ammirare e che l’autrice orgogliosamente consegna alla generazione dei più giovani, per incurosirli verso una regione speciale come la Sicilia, la sua storia, le sue bellezze. Eneas deve infatti ritrovare quattro cristalli e sarà il libraio ad accompagnarlo indicandogli punto per punto di cosa si tratta: dalla Zisa, la residenza estiva dei re che hanno preceduto Federico, il cui nome viene dall’arabo Al Aziz e significa “la splendida”, iniziata dal re normanno Guglielmo I e terminata, in seguito, dal successore Guglielmo II detto il Buono; alla Cuba, (probabilmente dall’arabo Qubba, “cupola”) altro grande palazzo di epoca normanna costruita nel 1180 per il re Guglielmo II, al centro dell’ampio parco che si chiamava il Genoardo, ne; da Maredolce, un palazzo che Ruggero II fece circondare su tre lati da un lago artificiale per proteggerlo, alla chiesa di Santa Cristina la Vetere a fianco della cattedrale, che Enrico VI, padre di Federico, tolse ai monaci cistercensi per farne un edificio aggregato alla cattedrale che costituisce la quarta e ultima tappa nella raccolta dei cristalli. Nell’interno della cattedrale l’autrice sfrutta sapientemente la magica bellezza del luogo per creare l’atmosfera del prodigio che evocherà l’ombra di Sbylenk da cui riceve le ultime istruzioni per compiere l’impresa.

Il cristallo, la sua bellezza e preziosità diventano così nell’immaginario di Eneas e dei piccoli lettori di questo libro, simbolo della luce del bene, ma anche della bellezza e preziosità di quei luoghi e monumenti che la storia ci ha consegnato e che resteranno probabilmente per loro indelebili e magari fertili di approfondimenti ulteriori e comunque di una consapevolezza del loro valore.