Sempre libera, di Elle (EDDA)
Terzo libro della prima serie di Mia Maldini, la giovane bibliotecaria della Biblioteca Universitaria di Bologna, appassionata di filologia classica e ballerina professionista in un immaginario Corpo di Ballo del Teatro Comunale di Bologna. Proprio a causa di queste sue irresistibili passioni per la musica e la ricerca filologica, oltreché per il suo carattere insicuro e fragile da un lato ma determinato ed ostinato dall’altro, finisce sempre “per cacciarsi nei guai” dice la sua autrice, Elle (nom de plume di Elisabetta Laffi), bolognese, laureata in lingue e letterature straniere che in Mia ha, sempre per citare le sue parole, “il suo avatar”. I guai sembrano nascondersi in antichi manoscritti che la giovane protagonista si trova per lavoro o per diletto ad analizzare per arrivare ad una loro datazione certa. In questo suo percorso di indagine filologica, Mia viene coinvolta in una vera e propria indagine poliziesca, tanto che l’autrice definisce questo suo genere “gialli per caso”. A qualcuno piace anche chiamarli “gialli letterari”; sicuramente il livello di elaborazione e autocritica che li caratterizza li può far rientrare anche nella categoria del romanzo introspettivo, così come la loro connotazione femminile li può ricondurre al genere romance. Questa vasta gamma di identificazioni è possibile proprio per la molteplicità di sfumature che colorano i romanzi di Mia.
Ancora giovane ma in parte provata dalle varie vicende vissute nei libri precedenti, Mia non ha però ancora completato il suo percorso di maturazione psicologica nel rapporto di coppia con Giulio. I due, pur dopo la spasmodica prova che hanno affrontato e superato nel primo anno di convivenza (il gap generazionale, visto che li separano circa 25 anni), sono sempre su un fragile filo, in equilibrio fra reciproci timori, insicurezze, bisogno profondo l’uno dell’altro. Quel filo sottile si è irrobustito dopo i chiarimenti che li hanno riavvicinati al termine del secondo libro, ma resta pur sempre un filo che può tendersi, piegarsi, addirittura spezzarsi sotto tensioni particolarmente forti. Ed in questo nuovo romanzo subentra una tensione indomabile per Mia, almeno sulle prime: la nuova, prepotente quanto non voluta, improvvisa irruenza della ex moglie di Giulio nella loro vita. Ex moglie che Mia, sotto l’impulso delle sue insicurezze, comincia a chiamare Prima Moglie, nel terrore che quel legame che c’è stato fra loro prima del proprio arrivo non si sia in realtà mai davvero interrotto.
Separata da lui, come le volte precedenti, trova rifugio e ristoro in un’altra ricerca filologica: nella biblioteca della giudice Crisalide Collevento – che nel precedente libro aveva con entusiasmo accettato di riordinare nel tempo libero – ha rinvenuto un libretto della Carmen di Bizet che ha la parvenza di essere molto antico. Potrebbe addirittura essere uno dei libretti precedenti i ritocchi che il librettista apportò sulla prima versione che Bizet aveva tratto dalla novella di Prosper Mérimée. Come per il Rotulo 2 del primo libro ed il Niebelungenslied del secondo, anche per quest’opera l’autrice ci fa dono di particolari musicali e letterari incomparabili. Il dramma, i suoi protagonisti, le sue arie, irrompono nel romanzo come parte sostanziale, fornendo valvole di sfogo alle tensioni opprimenti di Mia e soprattutto riverberi alle sue emozioni e, in fondo, alle emozioni di tutti perchè l’opera, in special modo il melodramma, ha sempre avuto questo intento e potere catartico di estrinsecazione dei moti passionali che ci caratterizzano. Nella figura di Carmen, per antonomasia, la donna libera, che non si fa aggiogare da nessuno, Mia, conquistata dalla sua sfolgorante vitalità e spregiudicatezza, vede riflessa la sicurezza di sè che le manca, prima causa di tutti i crolli di fiducia che la incalzano: “Lei è così irriverente, così sensuale, di quella sensualità che non mira a provocare, ma solo ad esprimere il suo sentirsi totalmente libera. Lei non bada alle regole e ai ruoli sociali, nessuna soggezione verso l’autorità, lei sa vivere l’attimo, come se per lei la vita fosse leggera (…) tanto da vivere di slancio, come una corsa a perdifiato, senza esitare, senza nessun compromesso”.
Il percorso di elaborazione del rapporto fra Giulio e Angela, la ex moglie, passa sicuramente in primo luogo dai vari step del dilaogo con lui, fatto sì di mutismi, battibecchi, ripicche, rinfacciamenti, ma anche di chiarimenti, parole di scuse, rimorsi, dichiarazioni di affetto e reciproche introspezioni chiarificatrici; ma passa anche attraverso l’autoanalisi della propria fragilità muliebre paragonata alla forza di Carmen.
Se il rapporto con Giulio è sempre al centro dell’elaborazione intima di Mia, in questo romanzo in poche ma densissime e commoventi pagine, vengono analizzati altri due rapporti importantissimi: quello con la madre e quello con Fabio, il grande amico, onnipresente, consolatore, sostenitore. La madre, meno presente che nei due precedenti romanzi, esercita comunque una funzione decisiva nel finale, parlando sia a lei che a Giulio con la sensibilità e pragmaticità che la caratterizzano e che le fanno avere le risposte pronte e perfette ai dubbi nascosti di entrambi. Se la madre riesce a capire le cose ancora prima di lei, Mia non aveva invece mai capito o meglio mai voluto capire il rapporto che legava Fabio a lei. Non un sentimento di insicurezza tantomeno di genere, come lui aveva buttato lì tanti anni prima quasi per scherzo e che lei, pur se per scherzo, aveva inizialmente accettato, ma qualcosa di molto più profondo che, inevitabilmente, i due devono affrontare e chiarire per poter mantenere quel rapporto speciale che li lega. E sarà inaspettatamente decisivo il ruolo di Giulio come anello di congiunzione.
La forma del diario continuo, viene da definirlo, scelta dall’autrice è molto originale: l’ora scandisce da sempre le autoelaborazioni di Mia, l’ora ed il minuto, che non è solo quello dei treni che li trasportano quotidianamente fra casa e lavoro, ma anche quello dell’inizio, della fine della giornata, delle pause, del tempo passato nell’analisi filologica, del tempo di sonno o di veglia, delle telefonate, dei messaggi whatsapp. Questa è un’altra caratteristica dello stile narrativo di Elle: ai dialoghi veri e propri, volutamente estremizzati fino ai saluti e ai convenevoli, agli intercalari dialettali che danno l’immanenza, la contemporaneità e l’autenticità dell’esposizione tipica di un diario, vengono affiancati numerosi messaggi whatsapp. Sono ormai un nostro mezzo di comunicazione quotidiano anche nei rapporti familiari; perfino con le persone più strette, oltre che con gli amici, si sfrutta questa forma breve che è molto meno fredda di quello che si possa pensare. Ed Elle, nell’uso che ne fa, lo dimostra chiaramente: se al messaggio scritto di WhatsApp manca l’apporto mimico gestuale della presenza, si aggiunge però l’indotto delle deduzioni che si traggono dalla velocità o dall’assenza di risposta o dalla supposizione che l’altro abbia letto in modalità ‘anteprima’ per non far sapere che ha letto; o dal riconoscimento dello stato online che offre un’apertura possibile, immediata, da cogliere per un chiarimento o per una rimostranza. Inubbiamente, a volte ci si fa più male con parole che sfuggono rapide, non filtrate da ragionamenti e considerazioni attenuanti, con frasi pungenti, sarcastiche, offensive che restano impresse ancor più che se scritte. Questo rivelano le discussioni reiterate fra Mia e Giulio, dovute ad impulsive reazioni di gelosia, prevenzione e pregiudizio, che scaturiscono proprio dalla velocità con cui la parola corredata da tono ed espressione, permette a ciascuno di esprimere il proprio moto emozionale del momento, con le sue urgenze, le sue fragilità, i suoi timori, i suoi equivoci; poi, col dialogo, pazientemente, si può, quando si vuole, allargare quella visione a ricomporre il puzzle che una reazione istintiva aveva mandato in pezzi.