Elogio dell’amicizia, di Paolo Crepet (Einaudi)
L’autore, richiamandosi all’illustre predecessore latino (Cicerone col De Amicitia), raccoglie in questo volume di lettura scorrevole riflessioni sull’amicizia non in senso astratto-filosofico, ma concreto, declinato nella molteplicità dei rapporti interpersonali: tra fratelli, tra genitori e figli, tra nonni e nipoti, tra uomini, tra donne, tra uomini e donne, tra colleghi e così via.
Prima ancora, parte da un’analisi del rapporto di amicizia nel tempo di guerra perché ritiene “più determinante il contesto storico e sociale in cui un dato sentimento viene espresso rispetto al significato teorico” che gli si attribuisce. E, durante la guerra, così come in qualsiasi situazione di indigenza, pericolo, privazioni, l’amicizia è una necessità più che una scelta: “La gente si comportava in maniera fraterna e solidale perché non conosceva altre modalità di comunicazione e relazione. Chi avesse scelto la strada di un’illusoria autarchia sarebbe rimasto solo a combattere per la propria esistenza”.
Ma questo è solo l’inizio della storia, perché se l’amicizia nasce come relazione necessaria, diventa sentimento elettivo “per grandi emozioni condivise”. Crepet distingue delle esistenze banali e scadenti che producono mediocrità affettiva da emozioni nutrite con onestà e rispetto che diventano “nucleo fondamentale di un’irrinunciabile dignità, sua costruzione e sviluppo”.
Le amicizie nei legami parentali non sono sempre viste postiviamente dall’autore. O, almeno, cerca di mettere in guardia dalle loro degenerazioni, come quella dei genitori che si dichiarano amici dei figli solo per nascondere un eccesso di permissivismo o una mancanza di autorevolezza. Così pure, è delicato il rapporto amicale fra nonni e nipoti, fondamentale oggi, non solo per concrete esigenze di organizzazione familiare, ma anche, anzi soprattutto, per quella funzione retrospettica che la terza generazione offre. E questo anche se i nonni di oggi, ben più ‘giovanili’ di quelli di un tempo, sono spesso ancora attivi, lavorano, viaggiano, fanno sport. E spesso intervengono oltre i primi anni dei nipoti, affiancandoli anche nella pre- e adolescenza: “una presenza tanto costante da confondersi con la figura dei genitori” e questo genera frequentemente conflitti. Sarebbe più auspicabile che i nonni conservassero quel ruolo “apicale” nella piramide familiare che consente loro di svolgere quella funzione di tradizione del passato che è decisiva nella formazione delle generazioni successive.
Altrettanto negativa emerge dalla visione di Crepet, la relazione amicale fra maestri e studenti oggi tanto diffusa: una relazione che “genera un effetto rilassante negli insegnanti in quanto li fa sentire magicamente irresponsabili: l’autorevolezza è faticosa e va ribadita di continuo mentre questa decadente forma di pariteticità non richiede alcuno sforzo”.
Diversa l’amicizia fra uomini da quella fra donne, nell’osservazione dell’autore: gli uni si trovano su argomenti distensivi, di svago (viaggi, calcio, lavoro), le altre su argomenti più profondi, intimi, importanti (figli, insoddisfazioni, rapporti col partner) derivando forse da quello che era da bambini: tra maschi si giocava, tra femmine si parlava. In sostanza, “se due donne tendono a essere unite da ciò che condividono nell’intimità dell’altra, l’amicizia fra due uomini è cementata maggiormente da un’impresa fatta insieme o dal ricordo di essa”.
Quante volte ritorna il concetto di un sedicente rapporto di amicizia che nasconde in realtà l’impegno a sostenere ruoli più impegnativi che presuppongono autorevolezza quando non addirittura autorità. Così è dell’amicizia fra genitori e figli, nonni e nipoti, come si è visto, ma anche fra capo e dipendenti, fra coppie separate. Emblematica l’amicizia dei social che “permettono una facilitazione, una modalità ansiolitica, ovvero promettono di vincere l’ansia del primo approccio, delle prime parole, dell’idea stessa di mettersi in gioco”. A ben vedere, quindi, l’amicizia è un sentimento ben diverso da quello che comunemente si dichiara ai quattro venti. È un sentimento impegnativo, responsabile e responsabilizzante, a volte scomodo, difficile, faticoso, a rischio di delusioni e conflitti: “Non fa sconti, è un sentimento onesto: restituisce tutto ciò che si è seminato. È giusto così: l’amicizia è un lavoro serio, necessità, continuità, dedizione, manutenzione attenta, come accade per le cose rare e preziose”.
Pur sembrandolo, questa considerazione, non è in contrasto con la splendida metafora dell’amicizia come una pianta grassa (che dà il titolo ad uno degli ultimi capitoli): una pianta che “è quasi completamente autonoma, ha bisogno di poca acqua e di poche cure, vive in una solitudine nella quale si organizza da sè l’esistenza, non vuole essere abbandonata ma nemmeno ossessionata dal suo curatore”, se si parte da buone radici piantate con serietà e attenzione.
Il saggio si conclude con un quasi scontato ma non banale capitolo sul futuro dell’amicizia. Non è banale perché l’autore più che affermazioni decise e tranchant fa delle domande, spinge a riflessioni, sensibilizza alla tutela dei valori contenuti nell’amicizia e invita a cercare il modo migliore per preservarli.