Ora dimmi di te, di Andrea Camilleri (Bompiani)

Ora dimmi di te, di Andrea Camilleri (Bompiani)

Questa lettera scritta da Camilleri ne 2017 per la pronipotina Matilda, in realtà, per fortuna, raggiunge tutti noi. In effetti, il messaggio che il grande e amato scrittore siciliano affida alla bimba è importante che passi per le generazioni precedenti, perchè siano consapevoli di quanto in tutto quello che è successo nel XX secolo e nel primo ventennio del XXI, ogni individuo di ogni generazione abbia una propria responsabilità. È emblematica e toccante la favola senegalese citata da Camilleri nella quale il piccolo colibrì, nell’incendio che sta distruggendo la foresta di fronte al quale tutti fuggono pensando di non poter far nulla per fermarlo, porta nel suo minuscolo becco una goccia d’acqua, dicendo “Vado a fare la mia parte“. Ma può essere anche impietosamente sferzante: se ciascuno, nel suo piccolo, può fare la sua parte a salvare e ricostruire – come è stato fatto nei periodi più miseri citati dall’autore – ciascuno ha anche una sua parte di responsabilità nell’aver contribuito e nel contribuire tuttora, con una visione miope, pregiudizi, egocentrismi, alle situazioni di disagio sociale, alle discriminazioni, alle paure.

Camilleri racconta alla nipotina tutta la sua vita, calandola nel contesto storico, sociale e culturale rappresentato nella sua evoluzione continua. Cita i fatti salienti con una capacità di sintesi che sfrutta la sua scrittura fluida.

Ogni episodio che racconta è un delicato e nello stesso tempo potente insegnamento, reso vivacemente per la lettura di una mente giovane e fresca ma nel quale gli adulti colgono le quinte della scena, l’amarezza di non aver fatto di più per ottenere certi risultati o per evitarne altri.

L’11 settembre è stato per lui una seconda Hiroshima, per le dimenisioni delle stragi, quella immediata e quelle successive. La paura continua del terrorismo ha portato alla  gretta chiusura nel proprio piccolo mondo rassicurante, senza pensare che “è molto difficile che un terrorista si imbarchi su un gommone rischiando la vita e quindi il fallimento della sua missione. Si è scoperto invece che oltre il 90% dei terroristi erano cittadini di questi paesi (…). Il nemico quindi non viene da fuori con gli immigrati, ma è già sul posto dove è nato, è cresciuto ed è stato educato. Alzare muri significa chiudersi in casa con lo stesso nemico“.

Ecco perché rivela tanta amarezza di fronte allo sfasciarsi di un’Europa che era stata costruita con fatica, sicuramente con ingenuità ed errori, ma costruita, raggiunta. È l’amarezza di chi, arrivato a 91 anni, ha la sensazione del fallimento. Ma senza piangersi addosso, fa un gesto molto più maturo, consegna il testimone alle ultime generazioni: “Una volta esistevano degli eroi da prendere a modello, oggi non esistono più in quanto l’eroe dell’uomo di oggi è diventato proprio l’uomo comune. Un uomo comune che sa come la sconfitta, lo scacco, possa nascondersi dietro l’angolo, ma che ha piena coscienza di questo e continua ad andare avanti. Ai molto giovani che mi vengono atrovare in questi ultimi tempi domandando consigli, io rispondo che hanno un preciso dovere: quello di fare tabula rasa di noi. Noi oggi siamo dei morti che camminano. Morti nel senso che le nostre idee, le nostre convinzioni appartengono a un tempo che non ha futuro. I giovani (…) hanno la possibilità di dare un senso diverso e nuovo alla vita in comune”.

C’è tutto l’uomo Camilleri, in questa lettera affezionata, il suo percorso di formazione, dalle prime ribellioni giovanili, il cambio di ideale politico, le ambizioni, le ostinate impostazioni culturali che gli valsero la stima di grandi personalità del teatro, il suo primo campo professionale, quello che lo condusse alla RAI come sceneggiatore, dove rimase fino all’età della pensione. E, soprattutto, c’è lo scrittore Camilleri, rivelato dall’interno, dalle origini di quella sua brillante carriera che lo ha reso così celebre, dalla prima storia raccontata al padre durante la sua malattia, quando lo accudiva con affetto, narratagli “adoperando il modo di parlare della piccola borghesia siciliano, mischiando dialetto e lingua”, secondo l’insegnamento del loro conterraneo Pirandello: “Di una data cosa la lingua ne esprime il concetto, mentre della medesima cosa il dialetto ne esprime il sentimento”. E il padre si fa promettere che scriva il suo primo romanzo esattamente come glielo ha anticipato a voce. Ecco la premessa di quello stile così autentico che ha conquisato anche lettori non siciliani grazie alla semplicità, alla concreta e quotidiana umanità che esprimeva: “Non credo di essere un grande scrittore. In Italia si ha l’ambizione di creare cattedrali, a me piace invece costruire piccole disadorne chiesette di campagna”.