La chiusura del cerchio, di Giorgio Daidola (Il Frangente)

La chiusura del cerchio, di Giorgio Daidola (Il Frangente)

Giorgio Daidola dice che non gli piace fare un diario di bordo. Ma questo libro, il suo terzo pubblicato con Il Frangente, casa editrice che è nata nel 1996 con lo scopo di produrre e pubblicare una collana di portolani finalizzati alla navigazione da diporto è a tutti gli effetti un diario di bordo: il diario di un’esperienza di viaggio per i mari ma soprattutto in sé e attraverso la vita. Perché in questo terzo libro Daidola dice di chiudere il cerchio, ed è quello che fa, ritornando alle origini della sua passione per il mare, paradossalmente evolutasi dall’innata passione per la montagna. Ha capito che scivolare sulla neve e sull’acqua è la stessa cosa, è un percorrere le strade di una natura incontaminata (o ai limiti dell’incontaminazione) sfiorandola quasi per non disturbarla, invaderla, danneggiarla. E l’apice in cui ha fatto confluire queste esperienze è l’impresa compiuta a trentasei anni – che ora non ha remore a definire “un’idea decisamente folle” – scendendo con gli sci dallo Stromboli. La racconta in un capitolo denso di suspense e suggestione, quasi da immaginario fantasy, un capitolo di rara bellezza evocativa che si legge col fiato sospeso incantati da uno spettacolo naturale incomparabile, quello delle “bombe vulcaniche”, due giganteschi imbuti poco sotto la Fossa, “un terreno di lava a blocchi ripido e instabile” poco sotto la punta del Pizzo.

La chiusura del cerchio, quindi è il diario di bordo di un viaggio introspettivo che l’autore con matura trasparenza regala ai lettori, offrendo la propria esperienza di vita, ammettendo i propri errori, le proprie imprudenze, ma anche dichiarando con enfasi le proprie passioni. È un diario di bordo sui generis perché non contiene solo le proprie osservazioni che del resto non ha registrato contestualmente ma estratto una volta a casa da mail e messaggi WhatsApp ma anche commenti di chi da casa l’ha seguito.

Un diario di confessioni intime, spasimanti d’affetto per il mare, gli orizzonti, le isole. E per la donna della sua vita, Cristina, la compagna di tanti anni, pronta a raggiungerlo ovunque i suoi programmi di crociere a vela lo portassero, ma anche pronta e capace di seguirlo, di vivere con lui quelle emozioni fortissime.

Il cuore del libro è la grande impresa della maturità, la traversata atlantica: le fatiche, le preoccupazioni, il dover continuamente adattarsi a condizioni che, anche per i difettosi mezzi tecnologici a disposizione (il programma di previsione dei venti era risultato pressochè incompatibile col sistema iOs del suo iPhone costringendolo a tornare ai vecchi empirici sistemi di osservazione), sottoponevano l’equipaggio a stress, incertezze, timori. Daidola la racconta come un romanzo: la preparazione del viaggio, la scelta dei compagni, le tappe prefissate e, per ognuna, l’avventura della sosta nel marina, la gente del posto, le condizioni di attrezzaggio, le visite approfondite alle isole, prima di tutto le Canarie, una sorta di palestra preludente la grande traversata.

Poi, il via, da Mindelo,  una città portuale di Capo Verde situata nella parte settentrionale dell’isola di São Vicente, con il fascino dominante degli alisei, questi venti pretenziosi che vanno seguiti, non contrastati perché altrimenti l’impresa da ardua si fa rischiosa, se non impossibile o perfino drammatica. Ma se li si conosce e li si asseconda allora danno il massimo di sé, riuscendo “a far scivolare la barca come se fosse viva, per ore e ore alla stessa velocità, senza interruzioni, senza costringere a continui interventi per regolare le vele o cambiare rotta. Niente di simile può accadere in una navigazione mediterrane. L’oceano è davvero un altro mondo”.

La traversata è un’esperienza di azione, di ozio, di dialoghi, di silenzi. È un’esperienza di riflessione profonda e diversa: “un’occasione irrinunciabile per pensare, valutare chiaramente e avanzare delle critiche verso se stessi e verso gli altri”.

Il libro è corredato da pagine e pagine di splendide foto a colori: di ciascun capitolo si possono vedere immagini di luoghi, barche e persone che vi ha citato. Soprattutto tante persone. Non si può immaginare il potenziale umano che vive il mare nel modo libero e avventuroso di Giorgio Daidola. Quanti, da soli o in coppia, hanno preso per sé un periodo di tempo più o meno lungo per riscoprirsi in questo modo straordinario. 

Al mare come elemento primordiale di nascita dell’amore l’autore riserva un intero capitolo, raccontando le storie di alcune coppie che si sono conosciute in un molo aggregandosi fortuitamente per un viaggio che sarebbe poi diventato anche il viaggio della vita. Oppure coppie che hanno scoperto il mare insieme, quando già erano sposate. Coppie che, unite da una passione così fertile di emozioni e scoperte, si rafforzano nelle esperienze dei viaggi, legandosi sempre più. Come, in fondo, è stato per lui e Cristina.

La chiusura del cerchio “non è solo ricordo, ma completamento perfetto del tuo lungo viaggio”. Sono le parole che l’autore rivolge a se stesso con una riflessione fertile di futuro a dispetto di quella che può sembrare l’espressione come luogo comune: non si chiude per finire ma per completare, per non lasciare incompiuto. Anche perché – e l’autore cita lo stimatissimo amico e grande sciatore Luigi Borgo – “senza la scoperta antica del ritorno il mondo sarebbe una lunga retta”.