Transumanesimo, di Giuseppe Vanni (Fara)
Con tratto un po’ amaro e rassegnato, ma decisamente ironico e arguto, Giuseppe Vanni, di Cattolica, insegnante di Lettere in una scuola media, parla di un mondo depauperato di sensibilità ed emozioni, ma soprattutto di comunicazione.
Quasi a contrastare l’eccesso di verbosità sproloquiata sui social, nei video, dai media, usa versi brevissimi, di una o due parole, un po’ cantati, che si leggono con una scorrevolezza dondolante da barcarola; le rare rime sembrano un leggero trillo musicale.
L’uomo del XXI secolo è privo di ideali, di aspirazioni, di fede, di amore.
Del tuo Eden
Abbiamo fatto
Un deserto,
un luogo desolato
e perso
per noi
che di passo
in passo incerto
il tuo Amore
abbiamo finalmente
disperso.
Tutto si annulla in un nichilismo inconsapevole:
Ecco il nuovo verbo:
non credere in niente
per vivere liberi il presente.
Emblematica la poesia che apre la raccolta, con una spiritosa analogia fra il genoma umano e il codice informatico.
Dal copia-incolla
A doppia elica
S’affaccia l’umanità
Rigenerata:
che codice va editato
per avere
il sapiens aumentato?
Di un pessimismo sarcastico la poesia Limbo:
“L’intelligenza
Artificiale
Svelerà
Al mondo
I seguaci
Dell’inedita
Religione
Globale:
l’automazione
idolo
dell’autismo
digitale.
Un pessimismo cosmico, quello di Vanni, che trascende l’umanità scavalcando tutto il retaggio di cultura, individualità, singolarità, sentendosi svuotato dall’essenza umana. Da questo, la decisione di dimettersi da sé , di cercare nell’universo,
l’alieno che condivida
la nostra inquietudine,
che ci liberi della nostra
desolata inettitudine,
la vita intelligente
che conforti
la nostra atavica
cosmica solitudine.
Solo alla fine, nell’Epilogo, la speranza di riuscire a risalire dall’abisso soffocante:
Rivivrò l’origine
E sarò di nuovo in me
E fuori di me, umano
Non più transumano