Dimmelo adesso, di Caterina Falconi (Vallecchi)

Dimmelo adesso, di Caterina Falconi (Vallecchi)

Caterina Falconi, penna multiforme di narrativa e saggistica, sa essere molto dolce quando scrive per bambini. Ma in questo romanzo sceglie la voce più efferata per colpire gli adulti, scuoterli, mostrare il riflesso del proprio comportamento egocentrico in quello fragile, a volte scriteriato, dei loro figli. Un romanzo crudo sul disagio giovanile colto dall’interno, come se l’autrice si fosse calata nelle viscere dei suoi protagonisti per aiutarli a rigettare tutta l’amarezza, la rabbia, la disillusione, la solitudine che li strazia

I capitoli sono distribuiti fra i vari protagonisti, descritti da un narratore terzo non ben identificabile fra esterno e interno: racconta dall’ombra, anonimo, ma potrebbe anche essere una delle altre figure, a turno, o ancora l’unica figura che racconta davvero in prima persona.

Mosè David è nero, giunto in Italia attraverso il mare, accolto e  inserito nel contesto dei suoi coetanei dai quali non riesce a farsi accettare: intorno a lui diffidenza e rancore, invidia forse, insofferenza, paura. Viene provocato fino all’inevitabile reazione violenta che lo porta in prima posizione di colpa. Perchè è la cosa più semplice, più ‘normale’.

Guido Brizzi detto Bestia ha i genitori separati, ha vissuto i loro litigi, ha assorbito la loro rabbia, il disgusto, la disistma, si è trasferito per un po’ di tempo dalla zia Daniela lasciandosi coinvolgere fisicamente più che sentimentalmente dalla figlia di lei, Carla. E’ il più arrabbiato, il più feroce, il più pregno d’odio e rancora verso la madre. Gli occhi, il pensiero, la vedono e la dipingono come un essere orribile del quale vergognarsi.

Gimmi Italia vive nella guerra dei genitori: “Dispetti. Menzogne. Mutismo”. Un disgusto che rigetta vomitando e che ha portato in analisi quando i genitori, scoperte le sue relazioni con i bulli della scuola, si sono precipitati a prendere provvedimenti nel timore di un tracollo psicologico futuro. Senza assolutamente capire che nell’abisso il figlio glielo avevano gettato loro stessi.

Luigi Chiaretta, figlio di Draga, una donna dell’est e di Giovanni che l’ha conosciuta in Jugoslavia dove faceva la prostituta, sa e non sa, crede e non crede a quanto si dice dei genitori perchè li conosce per quello che sono adesso e “non ha la password per entrare nel loro passato”.

Carla è l’apice di quelle rabbie compresse, di quei rancori tossici, di quella voglia incontenibile di sfidare, violare, disfare. Carla estrinseca tutto questo nella dedizione totale al sesso, nel concedersi a tutti, nell’ineluttabile sfociare della tentazione chiara e scura insieme di quella che può essere l’unica fine a tutto quel vuoto, la violenza su di sè, la vendetta su di sé. 

Unica a parlare in prima persona è Angelica, madre di Michele, che, a differenza degli altri genitori, ha ipotecato le proprie aspettative e illusioni, a favore del figlio, per dargli quello che non aveva avuto lei ma non solo; per dargli quello che mancava agli altri, ai suoi coetanei, a quei ragazzi distrutti da un’infelicità familiare che li alimenta di volgarità e cattiveria, di scontento e livore. Bidella nella scuola frequentata dagli altri protagonisti, Angelica ha l’abitudine di osservare e ascoltare: osservare la vita della scuola (sempre incantata da quello spettacolo del cambio d’ora nel quale “come le statue animate di un cucù i prof escono dagli usci socchiusi e si infilano in altri”) e ascoltarne il disagio. Rifugge tutto quello che curano gli adulti di cui vede i frutti marci fra quei ragazzini chiusi in se stessi, capaci di comunicazioni violente, strafottenti con il prossimo perchè chi era più prossimo a loro è stato strafottente nei loro confronti. Hanno imparato a comunicare con insulti, a giudicare, a colpevolizzare, a rinfacciare, spesso senza neppure avere consapevolezza di chi sia l’oggetto della loro acredine. Non capiscono come e su chi rigettare quel disgusto che vedono nel loro ambiente. Perchè in fondo i loro compagni sono come loro. Vittime. Mosè David serve a questo. La vittima dei bulli è chi per qualche ragione impersona l’oggetto di quel disgusto, un ideale di colpa primordiale, di responsabilità ingiustificabile. La differenza di pelle, di cultura. E’ quello che può legittimare lo sfogo, almeno ai loro occhi appannati. 

L’invito intimo e disperato “Dimmelo adesso” che Angelica pensa ogni volta che un ragazzo sembra sul punto di dirle qualcosa, non viene mai pronunciato. Resta nella sua mente. Così come il gesto di Carla resta nell’attesa di ognuno dei suoi compagni. Come il lettore che resta nell’attesa che i veri colpevoli si rendano conto degli errori e rimedino in tempo: “Niente è più definitivo del rimandare”. Perché è scegliere che costa: “La scelta, lo strappo, è la condizione dell’autodeterminazione. Se vado in una direzione, anziché in un’altra, ho la possibilità di fare un lungo cammino, ed evolvere. È una questione etica. L’etica attiene alla decisione, non ha nulla a che fare con il moralismo”.

 Non usa mezzi termini, parole di comprensione, di giustificazione. Non ci sono scuse per chi ha seminato zizzania velenosa.