Il ragazzo che dava i numeri, di Roberto Vaccari (Onirica)
Con uno stile e una struttura che sanno di letteratura inglese classica, dalla cornice del racconto vissuto che avvolge la trama al registro narrativo lento, riflessivo, cadenzato, Roberto Vaccari ripercorre con grande competenza ed effetto le tracce dei migliori Conrad e Poe.
Il narratore, Giorgio, racconta di un fatto accadutogli anni prima, sconvolgente. Dopo l’inquietnate prologo nel quale accenna ad un oggetto misterioso custodito per anni nella paura di quello che avrebbe potuto contenere e rivelare, dopo aver deciso che forse, invece, proprio in quell’oggetto poteva nascondersi una quale sia pur labile speranza, comincia dalle origini, dalla propria giovinezza nella quale, attratto dai grandi enigmi della storia, si era dedicato allo studio della paleontologia, considerando che il più indecifrabile dei misteri fosse proprio quello dell’uomo. Successivamente aveva preso a studiare le possibili tracce di vita su altri pianeti. In quel periodo viveva a Londra dove aveva incontrato il suo collega e superiore Marco Grey che gli chiese di fargli visita perchè aveva bisogno di parlargli di una cosa importante. Nonostante i suoi interessi attuali, mai Giorgio avrebbe potuto immaginare quello che gli sarebbe stato rivelato. Entrato nella casa di Notting Hill, fu immediatamente presentato ad un ospite, un individuo alquanto strano, vagamente inquietante. E ciò che disse, pur suonando grottesco e quasi folle, lo gelò. L’ospite dichiarò di essere a conoscenza della recentissima scoperta, in Spagna, di una grotta istoriata con raffigurazioni preistoriche: la grotta avrebbe dovuto essere immediatamente richiusa e dimenticata, disse, perchè solo così avrebbe potuto conservarsi per il genere umano qualche speranza di salvezza. Tra l’indispettito, il deluso, l’arrabbiato Giorgio vorrebbe considerarlo solo uno scherzo di cattivo gusto. Ma Grey pare estremamente serio. E soprattutto spaventato. Lo prega di non abbandonarlo, anzi gli chiede di restare alcuni giorni lì nel suo appartamento, a prendersi cura dell’ospite, mentre lui sarebbe andato in Spagna a verificare.
E, incredibile, Giorgio accetta, costernato dalla propria incapacità di reagire a quello che da scherzo grottesco come gli era sembrato all’inizio, è diventato un incubo di follia. Ed il comportamento dell’ospite lo conferma: partito Grey, cade in un assoluto mutismo senza più muoversi dalla poltrona nella quale lo aveva trovato. Finchè Gray ritorna senza aver potuto far nulla. I due allora si scambiano i ruoli. Gray rimane per interrogare l’ospite, registrando con una videocamera tutto quello che può dirgli – e sembra disperatamente intenzionato a rivelare solo a lui -, mentre Giorgio si reca a sua volta in Spagna.
Quando giunge là, sulle prime si sente rinfrancato dall’aver abbandonato quel lugubre teatro di ombre pazze, poi però si rende conto che forse qualcosa effettivamente non va. Il ragazzo di Puente Viesgo che. cadendo in un crepaccio, ha casualmente scoperto la grotta, è da allora in preda ad un delirio devastante. Giorgio si reca a fargli visita sperando di trovare una qualche spiegazione razionale che dissolva quell’atmosfera sempre più densa di sgomento che lo attornia. Approcciandosi alla camera del ragazzo, Giorgio per la prima volta viene a contatto con quella che sarebbe davvero esplosa come una maledizione: la sindrome dei numeri: “Un borbottìo monocorde mi aggredì misteriosamente, confermandomi l’impressione che qualcosa di irrimediabile e incontrollabile fosse già in atto, una valanga che non poteva esser più fermata“. Si avvicina al giovane, apparentemente addormentato, ma in realtà preda di un delirio sommesso: “Numeri, numeri senza ordine, numeri a una e a più cifre, nient’altro che stupidi numeri”. Sul momento Giorgio sembra quasi trovare un appiglio razionale: quel disturbo poteva essere spiegato come un normale disturbo mentale transitorio. Ma il senso di sollievo dura poco: “Le cifre non erano pronunciate in sequenza, ma senza alcun ordine apparente quale sottoprodotto del deliquio di un folle”. E un abisso di terrore si impadronisce nuovamente di lui.
Infiniti cicli è il titolo della terza parte, ambientata trent’anni dopo – e si scoprirà cosa è accaduto in quel lasso di tempo – nella quale il narratore dà l’epilogo di quella angosciante, distruttiva vicenda: “Oggi le nostre città hanno assunto un tono più mesto, mentre le montagne e le foreste si sono inselvatichite. Tutto è silenzioso. E’ come se la civiltà avesse deciso di restare in ascolto (…). Abbiamo imparato ad ascoltare (…). Se fossimo stati in ascolto come lo siamo ora, avremmo creduto all’ordine perentorio di chiudere quanto per caso era stato scoperchiato”.