Storia di Antonio Zanni, pescatore di frodo, contabile, soldato, di Giancarlo Bresciani (La Carmelina)

Storia di Antonio Zanni, pescatore di frodo, contabile, soldato, di Giancarlo Bresciani (La Carmelina)

Antonio Zanni, di Comacchio, nato alla fine del XIX secolo, racconta la sua storia che potrebbe attraversare il Novecento, se il destino gli avesse concesso una vita lunga come tante; se, dopo aver fatto il pescatore di frodo da ragazzino, aver ottenuto un posto da contabile a Ferrara, dove per di più aveva incontrato il grande amore, avesse potuto continuare su quella strada, magari sposandosi e mettendo su famiglia nella sua Comacchio; se non ci fossero stati gli anni ’15-’18: quella guerra assurda, spietata, devastante ha attraversato la vita di Antonio Zanni strappandolo dagli affetti familiari e territoriali. Giancarlo Bresciani, con questo romanzo, ha voluto rendere testimonianza a quella generazione di ragazzi bruciata da qualcuno che aveva disposto della loro vita.

Antonio racconta la sua Comacchio, con un affetto smisurato, toccante espressione di spontanea idendità d’ambiente e cultura. Il suo “battesimo” di consapevolezza della propria identità lo aveva avuto nella visita della “seicentesca Loggia dei Cappuccini in Corso Mazzini che per la nebbia non se ne vedeva la fine”, con la vasta Sala dei Fuochi dove cuocevano le anguille, la sala degli aceti dove venivano imbottigliate nella salamoia: da quel giorno non aveva mai più dimenticato quel senso profondo di appartenenza alla sua città, alla sua gente, alle sue risorse, il pesce e il sale. Racconta della determinazione con cui da bambino ha deciso di imparare, con tutti i sacrifici necessari, ad usare il vulicepi, la barca per la pesca di frodo nelle valli: “Sono un comacchiese, devo imparare ad andare in valle a riprendermi quello che è nostro e che ci hanno portato via” e tramite il falegname Giusfin riesce a conoscere Mariulèn, uno dei più abili col vulicepi. Racconta della sua famiglia formata da due mamme, perchè la sorella maggiore Assunta, da lui chiamata Mia con un senso di affettivo possesso commovente, di sedici anni più grande di lui, è stata più madre che sorella. Racconta della gente che gli aveva trasmesso “la sua grande cultura pur senza quasi saper né scrivere né leggere”. Racconta del primo amore per la cugina Felicita e dell’amore completamente diverso, più maturo, per Giovanna. 

Ne emerge un quadro pittoresco della microstoria di tanti come Antonio Zanni: della sua famiglia e del paese, di quella Comacchio così particolare, “alternativa senza fasti” alla rivale splendida Venezia, che aveva conservato la propria autonomia e fierezza sostto i vari padroni che nei secoli si erano sostituiti dall’Esarcato Bizantino al Regno d’Italia.

Ma la storia personale di Antonio ci mostra, attraverso il suo sguardo sensibile e attento, la macrostoria del primo ventennio del ‘900: dall’ultimo anno del secolo diciottesimo con il primo brevetto della radio di Marconi all’alba del nuovo secolo presentatosi ben poco lietamente con una terribile epidemia di influenza dalla quale la famiglia di Antonio si difese riducendo al massimo i contatti con l’esterno (!). Il 1901 con la morte di Giuseppe Verdi, la cattura del brigante Musolino in Aspromonte, il 1902 con il crollo del campanile di San Marco a Venezia, l’esplosione del vulcano in Martinica, il nuovo papa Pio X, il 1904 con il traforo del sempione e il primo dirigibile italiano; il 1906 con l’eruzione del Vesuvio, la prima Targa Florio; il 1908 con l’assassinio del re del Portogallo che, come tutti i regicidi, fa sempre tremare perché spesso sono forireri di guerra, e l’immane quasi incomprensibile esplosione che aveva devastato la Siberia, forse per un meteorite o per una cometa, e ancora la vittoria, poi annullata, alle olimpiadi di Londra del nostro Dorando Petri nella maratona.

Il mondo si dispiega nelle pagine dei giornali che Antonio prima sente leggere dai genitori o dalla maestra Angela, e poi legge lui stesso da solo o insieme a Giovanna. Perchè – e questo è un messaggio sottile ma molto importante – le storie dei singoli non possono prescindere dal contesto più grande: “Il mondo si era infinitamente allargato oltre i confini delle mie valli, che da bambino pensavo fossero un limite oltre il quale non poteva esserci altro che il nulla”. È con Giovanna che comprende chiaramente tutto questo: “Lo stare bene insieme non era più da tempo il solo nasconderci, io e lei (…), volevamo metterci a confronto in un mondo reale”.

Stupore per la forza del cambiamento, del progresso, delle invenzioni, sono la cornice nella quale Antonio vive e si racconta, a riprova di questa compenetrazione fra singoli e comunità: sembra quasi di essere al suo fianco mentre vede su uno schermo, scorrere i grandi eventi storici, quelli evolutivi e quelli distruttivi.

Ma la denuncia è altrettanto forte e chiara. La comunità deve tutelare i propri singoli, non cacciarli dalle loro case e, peggio, mandarli al macello. Soldato, ormai già volto a questa visione lontana e triste, Antonio guarda le colonne della gente, “carica di masserizie, bambini e vecchio sui carri e adulti a piedi, abbandonare le loro cose care e le loro terre”.

Il registro di tutto il romanzo si evolve coerentemente alla crescita e maturazione del protagonista. Il linguaggio è infantile all’inizio, le frasi un po’ sconnesse, affiancate a volte senza la corretta subordinazione (ricordano le lettere di Gian Burrasca); poi a poco a poco che si fa adolescente si esprime diversamente, con riflessioni più intime e ponderate. Infine, l’ultima parte, la cronaca drammatica dei combattimenti in trincea è travolgente con l’impietosa rappresentazione del vero.