666 dannati archi, di Ilaria Montaguti (Damster)

666 dannati archi, di Ilaria Montaguti (Damster)

Secondo romanzo della giovane scrittrice bolognese, incentrato sulla figura dell’ispettore Edo Guidi assegnato al distretto di Polizia Due Torri, del Centro di Bologna. Ma non è l’unica figura protagonista delle forze dell’ordine. In questo romanzo si accentuano dinamiche relazionali complesse che nel primo si erano appena profilate. Il superiore di Guidi, il commissario Pelagatti, non riesce a farsi piacere il sottoposto. Fra i due sono scintille di gelosia, insofferenza, malevolenza. Il questore Cervellati interviene in quel gioco di forze ma non sempre con imparzialità. Se l’etica professionale è ferrea nei confronti di quella variegata criminalità che ogni giorno si trovano ad affrontare, il vissuto di ciascuno di loro non riesce ad essere tenuto a bada del tutto dal codice e dalla divisa: palpitano antichi rancori, delusioni, amarezze, impulsi di rabbia nei quali si esprime tutta l’umanità di protagonisti che sono uomini prima ancora che poliziotti.

Il filo conduttore del giallo – che, rispetto al primo romanzo si tinge di noir – è ancora una volta religioso. Dopo la chiesa di Santa Caterina, monaca il cui corpo miracolosamente incorrotto nei secoli vi è conservato, è la volta della basilica di San Luca.

Curiosa e originale la cornice che l’autrice ha impresso alla trama principale: la prima scena si svolge nella sala degli interrogatori dove il questore Cervellati sta interrogando un giovane straniero, Mathias Alpaca, sorpreso fuori da una scuola nell’atto di adescare un minore per spacciare droga. Il giovane è freddo e spavaldo, fa l’errore di sfidarlo, scatenandone una reazione di rabbia e ferocia che sorprende i colleghi ancor prima dell’imputato e del suo avvocato. Ma c’è qualcosa dietro che pochi sanno: che il figlio del questore era stato drogato con l’inganno in discoteca, perdendo la vita.

Già dal secondo capitolo però la storia prende un’altra (sarà solo nelle ultime righe che ritornerà quel nome, a chiudere, forse, il cerchio), quella della preparazione della opportuna sorveglianza della prevista processione della Madonna di San Luca e soprattutto dell’appostamento per scoprire le fila di una rete di spacciatori. In questa occasione, fra Guidi e Pelagatti si verifica uno screzio che lascerà il segno su di entrambi, a lungo, condizionando le indagini in corso e il loro rapporto già molto instabile.

Mentre presidiano la folla in attesa, Guidi che non conosce la storia dell’icona della Madonna di San Luca, se la fa raccontare da Esposito, meno bolognese di lui ma più interessato a questi aspetti. È l’occasione anche per il lettore di ripassare alcuni episodi poco noti e significativi della città emiliana che ancora lasciano strascichi nelle tradizioni culturali.

Tutta l’indagine di Guidi accompagna il lettore nella storia affascinante e in gran parte sconosciuta del più lungo portico del mondo, degli accessi a ville e giardini che alcuni archi offrono, di una basilica dai riflessi simbolici, del mistero di un’immagine più antica sottostante quella attuale e l’altrettanto stimolante mistero di come sia ancora capace nel XXI secolo, nell’era digitale, trionfo di una scienza quasi onnipotente, di radunare, muovere, eccitare migliaia di cittadini di ogni età e background culturale.

La soluzione del caso, chiudendo la cornice aperta nel primo capitolo, ne riapre un altro e l’ambigua posizione del questore fra l’ispettore e il commissario, mantiene la situazione indefinita e inquietante. È la giustizia che sfugge? È il quesito che serpeggia in tutto il romanzo, dove buoni e cattivi si confondo, si ingannano, sembrano parlarsi alle spalle, agire all’insaputa, avere voltafaccia. Dov’è la giustizia e chi la persegue? È la sfumatura nera del romanzo che l’autrice ha voluto aggiungere alla tela classica.