Bologna, nessun dolore, di Massimo Fagnoni (Fratelli Frilli)

Bologna, nessun dolore, di Massimo Fagnoni (Fratelli Frilli)

Non è stanchezza professionale quella che Galeazzo Trebbi sembra esprimere in questo ottavo romanzo della felice serie di Massimo Fagnoni; è un’amarezza profonda per quello che la vita riserba a certe persone sfidandole oltre le proprie insicurezze e fragilità.

I genitori di Oscar sono diversi. Di fronte alla rara patologia che viene diagnosticata al figlio in età scolare, una forma di analgesia congenita che lo rende insensibile al dolore fisico, il padre riesce ad instaurare da subito un dialogo con lui, un rapporto di fiducia e amicizia che gli consente di affiancarlo nell’infanzia e nella prima adolescenza facendogli prendere coscienza del mondo che sta al di fuori del rifugio sicuro della casa; la madre, invece, ne rimane schiacciata e lascia che il figlio si appoggi al sostegno forte e sicuro del marito. Un sostegno che viene drammaticamente meno perchè Gaspare muore dopo una breve malattia lasciando Oscar completamente indifeso di fronte al mondo esterno e, soprattutto, a se stesso. La perdita del padre, per Oscar, è devastante. Lo priva della bussola che lo sapeva orientare.

Non solo per gli effetti collaterali della sua malattia ma senza dubbio anche per  l’abbandono dell’unica persona che sentiva davvero al suo fianco, con lo sviluppo puberale, Oscar sviluppa una forma di ritardo psico-relazionale e, all’opposto, una crescita fisica maggiore della norma: molto alto, magrissimo, dinoccolato, sempre serio, divide la propria vita quotidiana tra il lavoro in un grande centro commerciale, dove è incaricato della collocazione delle merci sugli scaffali e lo svago rappresentato dalla sua passione per i videogiochi e, come per tanti video appassionati, dalla mania del collezionismo. Con la madre non è riuscito a ricostruire nemmeno in parte il rapporto di amicizia e condivisione che lo legava al padre ma si limita a proteggerla o meglio, a tenerla il più possibile, al di fuori del dramma della propria diversità. È il lascito del padre, che rappresenta anche una forma di legame permanente con lui.

Ma la vita non scorre sempre placida e sicura. Riserva sorprese. Belle e brutte. L’insensibilità congenita di Oscar gli rende difficile distinguere tra le due qualità. Non ha sviluppato una propria etica, si limita a ricordare quella del padre. E fintantochè gli eventi sono per lui qualcosa di già sperimentato, ci riesce. Ma l’imprevisto lo coglie beffardo travolgendo ogni punto fermo al quale si sapeva e poteva agganciare. L’imprevisto è rappresentato dall’agguato di due ragazzi scapestrati che cercano di sottrargli il pezzo più atteso e prezioso della sua collezione, il drago rosso. L’assalto avviene in una notte di temporale tremendo. Oscar, seguito da un’auto, si ferma – un po’ anche per la pioggia scrosciante – e viene sorpreso dai due. “Sorpreso” è la parola giusta: non capisce cosa stia succedendo, non capisce perché quei due scriteriati lo attacchino, Ma quando si rende conto che vogliono il drago rosso, la furia dirompente del suo disagio straripa oltre quegli argini così faticosamente costruiti dal padre. Preda di un’ira folle, Oscar uccide i due ragazzi.

Quella morte scatena una serie di reazioni: non solo della polizia, ma anche, all’opposto, delle bande che in città si dividono territorio e affari per il commercio di droga, sopraffatte da un delitto che non sanno a chi ricondurre, come spiegare. Per questo non basta il lavoro ordinario del commissario Guerra, non basta quello sul confine di Trebbi, ma occorre quello ancora più empirico di Faid, capace di mischiarsi a quella feccia per entrare nei meccanismi, oliare quelli necesari a far girare la macchina nel modo giusto per avere le giuste informazioni. Un apporto collettivo per seguire la pista delle due vittime e superare i confini di odio e rivalità che pervadono il substrato di criminalità organizzata o sprovveduta, quella di immigrati senza permesso di soggiorno, che vivono di furti e spaccio, rifugiandosi in luoghi abbandonati alla periferia della città, come l’ex manifattura.

Una Bologna dove il dolore non può permettersi di esistere. Perché la vita sfida e sferza e se non si reagisce con qualunque mezzo si viene calpestati da chi non ha problema ad utilizzare quel qualunque mezzo. Nessun dolore per gli emarginati, i disadattati, i violenti per scelta o per forza, quelli che “Vivono un giorno alla volta, un’ora alla volta; è un miracolo che riescano a sopravvivere (…), e quando vogliono un territorio si spostano in branco, senza remore, senza pietà, senza sentimenti, liberi di fare tutto il male possibile perché non cononoscono la differenza fra bene e male, solo la differenza fra galera e libertà li tiene ancora lontani da una battaglia totale con la città”.

Eppure, per fortuna, non è tutto così. C’è chi il dolore lo prova perchè, a monte, ha provato affetto sincero, rendendosi conto, con tanta amarezza, che non è stato sufficiente ad impedire al male di mietere le sue vittime. Come Rocco, guardia al centro commerciale, eletto capo di una delle due fazioni di Corticella, che ha accettato il ruolo solo per evitare scelte più sconsiderate ed esercitare un po’ di controllo sull’irruenza ribelle di quei giovani. E come Rosario, conscio di quanto sia difficile aprirsi un varco legale in un mondo ostile per molti e privilegiato per alcuni.

Bologna nessun dolore ci restituisce una città con le sue problematiche radicate, i suoi compromessi. Le sue strade, le sue piazze, i suoi punti di aggregazione, come il laghetto dei cigni di via Corticella o gli ipermercati che la domenica mattina all’apertura delle 10, vedono gli anziani già pronti coi loro carrelli che “si muovono lenti fra le corsie e i negozi, combattenti degli spazi comuni, azzannati dalla solitudine delle loro esistenze periferiche, tormentati da notti spesso cortissime infarcite di sogni indecisi fra il passato remoto e il futuro cortissimo”. Ma sul retro di quel quadro c’è l’opera di chi il dolore lo conosce perché “ci sono momenti nella vita di ognuno nei quali si perde la consueta maschera di solidità, ci si mostra al mondo nella vera natura, non c’è nulla di più sincero ed onesto del dolore e della preoccupazione per perdere ogni inibizione e lasciare il posto a gesti essenziali”.  Sono quelli capaci almeno di lenirlo se non possono evitarlo.