Demoni sul Navile, di Simone Metalli e Eva Brugnettini (Damster)
Dentro il giallo, le persone. Questo leit-motiv di molti romanzi gialli e noir di oggi, specialmente della fertile scuola bolognese impronta anche “Demoni sul Navile”, i cui protagonisti principali, l’ispettore Oussama e la sua ex compagna di università, Lucrezia, intrecciano le proprie storie al delitto su cui indagano producendo una trama avvincente e toccante. Lui, ispettore di Polizia, lei, poliziotta mancata, amica, ex compagna di studi, rifugio sicuro nei momenti in cui un’indagine s’intoppa. Perché Lucrezia è la sua arma segreta, l’intuito femminile di una ragazza intelligente e scaltra, che è inciampata una volta sulle scale della salita professionale: incapace di superare il fallimento del concorso in polizia, si è rifugiata nella noia e nell’indifferenza per la propria vita lasciandosi andare socialmente, nella solitudine di un appartamento in una piccola frazione di Bologna, Trebbo di Reno, e fisicamente, nel non curarsi del proprio aspetto fisico, a partire dalla linea che considera quasi come il proprio biglietto da visita: una presa di posizione sfrontata che vuole mostrare sicurezza là dove invece c’è un vuoto incolmabile. Oussama le è affezionato, la conosce nei minimi particolari, nei gusti alimentari che soddisfa sempre prima ancora che lei lo chieda (una pizza, un pranzo cinese), la stima e la rispetta, la protegge e la rassicura.
Il delitto, denunciato da un anonimo un lunedì mattina, è quello dell’uccisione di un uomo che è stato a lungo sui rotocalchi mediatici: prima come padre Gabriele Ferrari Gaudenzi, esperto in esorcismi, poi per la sua relazione con la bellissima e affascinante Serena Bao, scrittrice di romanzi erotici. Ne è inevitabilmente seguita la rinuncia all’abito talare e la sua scomparsa sia dall’ambiente della Chiesa, sia dalla vita della donna stessa. Il ritrovamento del suo corpo nel Sostegno del Torreggiani, un’antica casa di manovra lungo il canale Navile, alla periferia di Bologna, apre un delicato caso che, dopo un immediato e scontato primo sospetto per l’ex amante che era stata nominata erede di una somma cospicua, si sposta su altre piste. Oussama prende fin da subito la via giusta grazie al ritrovamento di un oggetto che era sfuggito all’indagine poco accurata della Polizia Scientifica.
Oussama è una figura particolare per la sua “normalità”: l’indagine è per lui un semplice lavoro da sbrigare, non gli interessano le formalità, non ci tiene ad essere il primo attore della scena; quello che conta è venirne a capo. Per questo non ha remore nel chiedere aiuto alla sua amica di sempre. E questa, più piccata di essere la ruota di scorta esterna che compiaciuta di rappresentare un punto fermo per l’ispettore, lo aiuta sì, ma anche lei a modo suo. Con rabbia quasi, come se dovesse dimostrare qualcosa a se stessa, perché sa bene che lui è perfettamente conscio del suo valore, mentre lei no, o meglio sì, e proprio questo le esaspera l’amarezza per l’essere rimasta ai margini della carriera che aveva tanto sognato. Oussama è il suo appiglio a quella carriera. Lui sembra tenderle l’ancora perché non vada a fondo nella rinuncia, nella depressione, e lei vorrebbe tenerla stretta e nello stesso tempo lasciarla andare. Ma non ci riesce e per questo s’indispettisce ancora di più: con se stessa e anche con lui: “Ma chi cxxx ti credi di essere? Solo perché hai passato un concorso del cxxx, perché sei maschio ben piantato, e io invece donna e ben piantata, non va bene”. Eppure, anche Oussama lotta ogni giorno contro i pregiudizi: è tunisino, sebbene sia nato in Italia, ma il nome e il colore della pelle non lo dicono: “Ispettore Bellafqih” puntualizza ad un vigile del fuoco che lo ha chiamato “Ispettore Oussama”: “Non capisce perché chiunque si senta in diritto di chiamarlo per nome. Bellafqih è troppo difficile? O perché la pelle scura lo rende meno autorevole?”.
Così, entrambi lavorano sul fine, senza curarsi del metodo. Lavorano insieme ma indipendentemente l’uno dall’altra, come nelle passeggiate che spesso fanno sul Lungo Reno, vicino a casa di lei: “due figure che camminano vicine ma senza toccarsi”.
E l’indagine procede un po’ a zig-zag ma per il sentiero giusto che porta i due a riunire i pezzi raccolti da ciascuno nella composizione del puzzle finale con la soluzione del caso.
Nella storia è presente – anzi decisivo – una figura singolarissima, il vicino di casa di Lucrezia, Amodeo, il suo Leporello, un personaggio buffo da commedia dell’arte. Logorroico, semplice, ingenuo, irresistibile. Non si rende conto di essere invadente così come Lucrezia non si rende conto di quanto le faccia bene la sua invadenza. È qualcuno che non la vede grassa, che scorge solo l’animo sensibile che sta sotto la scorza di sarcasmo.
Il narratore interno entra di volta in volta nel personaggio di Oussama e di Lucrezia, ma sembra approfondire di più quello della donna, come se tutta la storia, il contesto, i pensieri degli altri personaggi, ruotassero intorno a lei e fossero raccontati attraverso la percezione più sofferta di lei. Se ne distacca davvero solo quando diventa narratore esterno per raccontare momenti di particolare drammaticità legati a personaggi vittime a loro volta della vittima principale della storia.