Bologna imperfetta, di Anna Patrizia Mongiardo (Damster)
Nato dal desiderio di rendere omaggio a Carlo Alberto Pizzardi le cui donazioni hanno consentito di creare l’Ospedale Bellaria che è a lui dedicato, l’autrice ha voluto contestualmente rendere omaggio a chi ogni lavora in quella struttura: alle persone che devono lasciare i propri pensieri, crucci, malumori fuori da lì perchè quello è il palcoscenico del paziente: “Qui non bisogna piangere, altrimenti come facciamo a sostenere lo sguardo delle persone che dobbiamo curare se i nostri occhi sono gonfi di pianto? Noi non dobbiamo piangere, noi siamo forti, noi siamo un sostegno per gli altri. Perciò testa alta, presentiamoci in ordine, con la faccia incipriata, col rossetto rosso, le collane luccicanti e i braccialetti tintinnanti”.
Appassionata lettrice di gialli, però, Anna Mongiardo, sceglie questo genere per il suo romanzo con un esergo originale (“Ho appena trovato un morto! Ah no, proprio a quest’ora alle sette del mattino, che ho fretta di andare a lavorare? Devo avvisare la polizia. Cos’è successo? Adesso vi spiego. Seguitemi”) che ne introduce il carattere frizzante e riflessivo. Frizzante perchè il tono è schietto, ironico, alleggerente, come è tipico dei bolognesi. Ma riflessivo perchè non è superficiale, anzi, invita ad umili considerazioni delle debolezze degli altri, dei loro punti di vista, della quotidianità di ciascuno dei protagonisti di quella che è la storia umana dell’insieme di storie singole. I protagonisti che agiscono sono parte di questa umanità, con le loro piccole problematiche, i pettegolezzi, gli affetti, le speranze, le delusioni, che devono reprimere finchè sono al lavoro: “Fuori, subito dopo aver varcato quella porta bianca, dopo il corridoio, dallo spogliatoio in poi, noi siamo altro. Siamo noi stessi con il nostro fagotto di problemi, i nostri vestiti, le nostre scarpe, le nostre facce che sorridono, gioiscono, s’incazzano”.
Protagonista in trasparenza di questo romanzo è la comunicazione: le parole che uniscono, le domande, le allusioni, le risposte avvedute e quelle avventate.
Anita è l’io narrante interna alla storia, ma nello stesso tempo è come se ne rimanesse a lato. Come se fosse spettatrice di una partita alla quale ha dato il via: è stata lei a trovare il cadavere sotto i cespugli del giardino dell’ospedale in quella afosissima giornata estiva bolognese, per poi lasciar lavorare chi di dovere: l’aitante commissario Brunetti e la sua squadra, affiancato dal giovane giornalista stagista, Dario. È proprio Dario a tenerla informata sugli eventi: ogni passo avanti fatto nelle indagini il ragazzo vuole condividerlo con lei. E’ vero che è attratto da Elvira, la sua più avvenente collega, sposata a Vittorio che pure lavora nell’ospedale. Ma è con Anita che si apre più che con chiunque altro. E’ la semplicità di lei a farlo a sentire a suo agio, come a casa sua, nella cucinetta dell’ospedale dove le raggiunge per ogni aggiornamento. Le indagini infatti sono portate avanti dalle forze dell’ordine. Anita, dopo le prime deposizioni, non vi partecipa più, ne viene informata, un po’ direttamente dato il rapporto che si è instaurato con Dario e Brunetti, ma per lo più dai trafiletti de Il Resto del Carlino che lei scorre ogni giorno in attesa di leggervi la soluzione di quel caso così insolito che aveva scombussolto quel loro pacato tran tran. Più volte lei evidenzia come la sua vita – ma in fondo quella di tutti noi, no? – scorra sempre uguale, nei passaggi del badge al mattino e alla sera, negli atti sempre uguali, nelle ombre e nelle luci di ogni giorno. Eppure, è la conclusione finale, quel tran tran è l’essenza della vita: è l’equilibrio che ci permette di andare avanti. Quell’equilibrio che Anita trova nel compagno Luigi, presenza tranquilla al suo fianco che le permette di avanzare sul filo di una quotidianità con la capacità di cogliere l’importanza dell’accettazione della propria vita nella sua semplicità.
Ma anche Bologna occhieggia dalla trama del romanzo: la sua parlata, il suo carattere bonario e deciso al tempo stesso, i suoi luoghi di incontro, il suo traffico.
Il libro si legge sorridendo dalla prima all’ultima pagina per la semplice bonarietà della protagonista, spontanea, umile, paziente, riflessiva; e con un pizzico di malinconia per ciò che scorre indipendentemente da noi: gli eventi, le stagioni, le storie.