“Dove si va” di Andrea Gheduzzi (Mazzanti Libri)

“Dove si va” di Andrea Gheduzzi (Mazzanti Libri)

Dalla storia vera di una parente della compagna Giliola Calari, Andrea Gheduzzi, bolognese, ha tratto un romanzo nuovo e antico al tempo stesso. Nuovo per la freschezza dello stile narrativo, antico per il colore seppiato delle atmosfere. E’ la storia di una famiglia di Dosso, provincia di Ferrara, con una propria tenuta che le garantiva condizioni di vita discrete. Il richiamo al fronte del ’15 sul Carso per il padre, Giovanni Benini, è una mazzata inesorabile per la madre, Maria, rimasta sola coi quattro figli, Francesco, Liliana, Bruna e Aldo. 
Come tante donne nella sua situazione, la necessità è la sua forza e l’amore per i figli la sua risorsa. Forza e amore che trasmette loro crescendoli uniti e responsabili. La loro storia incrocia presto quella di altre due famiglie: quella di Rita, commerciante in tessuti, che ha permesso alla ragazza di studiare ed ottenere la cattedra a Santa Maria Codifiume nonostante l’aggressiva opposizione del sindaco che non voleva una donna nel corpo insegnante. L’altra famiglia con la quale i Benini entrano in contatto è quella di Serafino, il falegname, e la figlia Matilde, che versano in condizioni ben più misere. Il destino si è accanito su di loro fin dall’inizio, togliendo all’uomo la moglie nel parto della seconda figlia, Anna. Dopo aver cercato di crescere le due bambine, rifiutando la prima offerta del parroco Don Marco, di prendere la bambina per darla in affidamento così da garantirle una vita più florida, si vede costretto ad accettare la penosa offerta quando un incidente sul lavoro lo priva di due dita della mano destra. Lo stacco fra le due sorelle, a quel punto, è straziante. Solo la dolce comprensione di Don Marco, che riesce in qualche modo a far breccia nella ferita della piccola, con le storie fantastiche che gli raccontava la propria sorella e che si riallacciano a quelle che le raccontava Matilde, la salva dalla disperazione e la porta ad accettare l’affidamento. Anche la vita di Anna, apparentemente staccatasi definitivamente dal contesto del paese, si rialleccerà più avanti a quelle di Matilde, di Serafino e dei Benini.

L’incontro, anzi l’unione delle famiglie Benini e di Serafino, avviene con la morte di Maria per colera o spagnola. Per farsi aiutare in casa, su suggerimento di Don Marco, i Benini chiedono aiuto a Matilde. Aldo, il più giovane, va da loro e la scintilla dell’innamoramento scoppia subito fra lui e la ragazza. 

I legami, stretti, sciolti, spezzati, riallacciati, sono il leit-motivo del romanzo. Ed è il braccio di ferro continuo fra il destino e i singoli ad agire su di essi, a costituirli, a tenerli saldi, a strapparli e a riannodarli. L’amore è un sentimento ampio, avvolgente il gruppo familiare. Non c’è volontà (o capacità, purtroppo, nel caso di Pietro), di mettere la coppia contro la famiglia. L’approvazione parentale diventa da atto di rispetto ad atto d’amore a sua volta perchè crea unione, avvicina.

La figura di Anna – che alla fine scopriremo essere la madre della compagna dell’autore – è emblematica della forza di questi legami che riescono a resistere alle prove. Liberi da sentimenti tossici come rancore, rimpianto, delusione, possono germogliare di altri frutti e poi risalire alle radici.

Il romanzo non indulge sulle scene di guerra. Il Carso entra in scena pochissimo: all’arrivo di Giovanni e alla sua morte assistita da Suor Paola. La grande Storia apre il romanzo con la scena di D’Annunzio, seduto alla scrivania di noce scuro, a Quarto, la sera prima del discorso al popolo italiano che avrebbe tenuto per “dare forma alle aspirazioni che sapeva, sperava, essere di tanti, di avere un riconoscimento maggiore e un’identità diversa in Europa”: “Volevo affiancare le due visioni: quella di chi credeva nell’ideale di potenza e affermazione della guerra, e quella di chi l’ha  solo subita nel dramma della perdita e della devastazione” ha spiegato l’autore in un’intervista.

Il romanzo scorre con una leggerezza appassionante. I dialoghi sono adeguati al tempo, lo stile moderno è vestito di un tocco d’epoca, le descrizioni dei luoghi non prescindono mai dall’uomo, come se l’ambiente fosse solo sfondo per la sua storia, e la grande Storia, sia davvero poca cosa rispetto alle piccole storie, che seppure ne vengono travolte, si rialzano, reagiscono, vanno avanti, lasciandosi alle spalle gli eventi ostili. Perchè l’uomo, anzi, gli uomini, nei loro legami, sono più forti.

Ed il sottotitolo? Lucia, l’Arciprete e la Slava? Sono tre personaggi non protagonisti che l’autore ha voluto omaggiare della dedica del romanzo, perché in fondo sono loro, dalle quinte della trama, a generare gli eventi nei quali si muovono le figure principali.