Fantasmi, di Paolo Panzacchi (Clown Bianco)

Fantasmi, di Paolo Panzacchi (Clown Bianco)

Un antefatto drammatico, che non è propriamente tale perché si ripropone, continuamente, echeggiando dai 15 anni del passato, quando si verificò: Mario, il miglior amico di Giulio, perde la vita in un incidente stupido. Ritornando dai colli bolognesi, dove avevano avuto una discussione sulla ragazza con cui Giulio stava uscendo in quel periodo, Carlotta, che Mario non approvava perché riteneva frivola ed egoista, Giulio guida con rabbia, senza limitare la avelocità e quella curva percorsa tante volte in quell’occasione lo tradisce. Quell’evento è uno spartiacque nella sua vita: da quel momento la sua esistenza è marcata dalla convinzione di aver tradito l’amico, di averlo ucciso con la propria imprudenza, il proprio dispetto per le critiche rivolte alla sua ragazza. Anzi, l’essere sopravvissuto è per lui rammarico infinito, perché era Mario quello saggio dei due, quello maturo, quello capace di voli di fantasia e nello stesso tempo atteggiamenti concreti e razionali, era la guida di entrambi, la risata che sdrammatizzava, l’ironia che soccorreva. Giulio ha spento tutto questo. Da quel giorno dentro di lui qualcosa si è distrutto: “Aveva scelto di isolarsi, di rimanere nelle retrovie, di non vivere, di passare le giornate a raggiungere solo e unicamente gli obiettivi che il lavoro gli imponeva, mentre per tutto il resto non c’era spazio. I fantasmi intanto crescevano, si nutrivano dei sentimenti negativi che provava, del risentimento che cresceva. Poco alla volta hanno cominciato a sparire anche i desideri, i sogni. Giulio si era trasformato, giorno dopo giorno, in un involucro vuoto, abitato da spettri, che si aggirava per la città in cerca di qualcosa o qualcuno che gli desse il colpo di grazia”.

Era riuscito a riprendere e terminare gli studi solo trasferendosi a Londra, in un contesto tutto diverso che lo staccasse di netto dal teatro bolognese dove vedeva ripetersi quella scena attimo dopo attimo. Carlotta non l’aveva capito. Chiusa nel proprio sogno d’amore di principessa, vedere il proprio cavaliere abbandonarla le era sembrato un affronto personale e non era stata in grado di trasformarsi lei nel cavaliere salvifico per il principe abbattuto mortalmente. Al suo ritorno, avea sperato che tutto fosse superato e forse lo aveva pensato anche Giulio: si erano sposati e avevano tentato di costruire una vita insieme. Ma l’ombra di Mario era sempra fra loro. O meglio, l’ombra di vittima di un amico carnefice era davanti agli occhi di Giulio. Sempre. E chiudeva ogni squarcio di futuro come individuo e tanto più come partner. Quando Carlotta gli dice che vuole un figlio come coronamento di quel matrimonio nel quale lei voleva assolutamente ancora credere, con il no deciso di lui, scatta la serratura del cancello fra loro. Il loro rapporto è contaminato da un seme di rancore che cresce sempre di più.

La figura di Carlotta è stranissima, un’antieroina: prigioniera del modello di figlia, donna, moglie, lavoratrice idealizzato dai genitori, che l’avevano coccolata e protetta, indirizzandola verso Giulio quando ancora nulla era successo, perché era il classico bravo ragazzo, lei da un lato sembra grata loro per quella gabbia dorata che la fa sentire al sicuro, accettata, accolta. Nello stesso tempo, soffre di quelle aspettative troppo grandi che ha sempre saputo che non sarebbe mai stata in grado di soddisfare. Giulio, per ironia del destino, è un lavoratore perfetto, dopo essere stato studente modello, bravo, affidabile, rispettato e stimato. Ma fuori dall’ufficio diventa un Mr Hyde di disperazione e sconforto, violento su se stesso con le armi del fumo e dell’alcol. Una vita alla deriva per l’incapacità di aver elaborato una colpa che era troppo articolata e profonda per essere trattata da un giovane in piena adolescenza, quando amore ed amicizie sono ugualmenti fondamentali.

La cornice cronologica è tra il 19 e il 22  settembre, fra il 2004 e il 2015. Il 20 settembre del 2004 è il giorno fatidico dell’incidente; il 20 settembre 2019, 15 anni esatti dopo, è il giorno in cui per ricordarlo è stato organizzato un concerto. Tre giorni distanti 15 anni, vissuti e rivissuti in un’agonia straziante dai personaggi che sono invischiati in un destino più grande di loro. A volte il discorso è come una spirale, con un’indagine introspettiva affilata come una lama. Panzacchi è efficacissimo nel suo dipingere gli animi più contorti, nello scavare fino a scoprire il nucleo incandescente del dolore, della delusione, della rabbia che ha generato quell’involucro di chiusura ermetica nell’ottusità di ossessioni sterili. È un testo che picchia nell’anima del lettore, per la precisione dei colpi psicoanalitici che l’autore fa tirare ai suoi personaggi: su se stessi, l’uno contro l’altro e, emozionalmente, verso il lettore, che subisce il fascino profondo di domande senza risposta: avrebbe potuto essere tutto diverso?

“In fin dei conti, con un po’ di sano egoismo da parte di entrambi, sarebbero potuti essere felici o per lo meno avrebbero potuto vivere qualcosa che somigliasse alla felicità. Sarebbe durata? È un’obiezione stupida che si fa alla felicità, in fin dei conti felici non lo si è mai se non a sprazzi, quando si vive qualcosa che possa durare più di qualche settimana è routine, è abitudine; o si cambia o non si può essere felici. Due persone possono essere felici insieme per molto tempo? Questo sì, a patto che rispettino le diversità, gli spazi e le rispettive attitudini, le vite vissute in maniera simbiotica sfociano in ossesioni, prigioni e trappole mortali”.

E la colpa? Chi l’attribuisce davvero?  “Una volta individuato il colpevole da vessare, distruggere, additare, si pensa che tutto possa essere risolto, che poi questa persona, una volta espiata questa colpa, possa ritornare alla vita come se niente fosse accaduto. Peccato che non sia così. La colpa è un alibi di chi subisce per scaricare la responsabilità di non aver compreso che nell’altro c’era qualcosa di strano, di non essere stati in grado di gestirlo o di avere tacitamente accettato la cosa sino a quando non è giunto il momento della definitiva deflagrazione. Ecco: il colpevole, la colpa, la vittima”.