Design ecosostenibile, di Ivan Gianluca Bonvini (Ventizeronovanta)

Design ecosostenibile, di Ivan Gianluca Bonvini (Ventizeronovanta)

Quando un libro è scritto con passione sa coinvolgere anche se non è un romanzo, anche se ha ad oggetto un tema “di nicchia” come il trattamento dell’alluminio. Perchè in effetti, Design ecosostenibile di Ivan Gianluca Bonvini, da vent’anni nel settore dei trattamenti delle superficie metalliche, è scritto non solo per chi è del medesimo settore, ma per chiunque abbia interessa alle tematiche ambientali, di design, di innovazioni e invenzioni geniali. E’ un libro fatto per chiunque perchè tocca corda diverse: l’estetica dei prodotti di uso comune, le criticità dello spreco, della produzione usa&getta, dell’inquinamento ambientale, le prospettive socio-economiche di nuove visioni più pulite, più sostenibili. E ancora, la storia del design industriale e delle produzioni in alluminio, materiale versatilissimo che è stato e ancor più merita di essere largamente sfruttato.
Fil rouge di questo saggio sul design industriale è la natura nella sua bellezza e preziosità: sorprendente e sfidante per il messaggio importante che contiene, quello di considerare la natura un capitale con un proprio valore fisico dal quale il sistema produttivo di oggi non può assolutamente prescindere.

Già il prodotto-libro è pregevole: il design che ne costituisce il tema è anche l’ispirazione della sua estrinsecazione cartacea. Ogni capitolo è introdotto da una citazione che prepara all’argomento e si conclude con una pagina che riassume ciò di cui si è parlato. Il tutto con ampi margini, uso dosato del grassetto e titoli in verde delicato per dare il sottofondo giusto ad una lettura che vuole essere stimolante e positiva.

Si è mai pensato all’etimologia del verbo progettare? Dal latino, gettare avanti, può essere tradotto come “partire dall’oggi immaginando di realizzare il domani”. È una visione bellissima che traspone quello che tradizionalmente era ritenuto un concetto di lusso ed esclusività in un concetto altamente democratico perché da un lato, quello del consumatore che oggi è “selettivo, competente, evoluto e consapevole”, esprime un’identità nella quale tutti si possono riconoscere; dall’altro, quello del produttore che persegue delle innovazioni, si concilia con il sistema economico competitivo evoluto di oggi, nel quale “non ci sono prevaricazioni tra le parti per un dominio assoluto di mercato, bensì ognuno, con il proprio potenziale, in funzione delle competenze e capacità acquisite, rimane in connessione con l’altro in una dialettica di contaminazione”.

Si parla di estetica di prodotto come appeal solo iniziale, necessario ma non sufficiente: occorre infatti anche l’usabilità e soprattutto l’emozionalità, la connessione emotiva con il soggetto, perché non è solo il prezzo commerciale a fare il valore di un prodotto ma soprattutto ciò che esprime.

Il filosofo Hans Georg Gadamer ha dato una definizione di arte che è perfetta anche per il prodotto industriale: il primo modello dell’arte è indubbiamente la natura; poi l’espressione dell’io, cioè la componente soggettiva dell’artista; infine, “nella nostra società di oggi  basata sulla merce, arte è costruire un oggetto seguendo regole che identifichino la misura spazio temporale umana”, e questa è la componente oggettiva dell’uomo, inteso nel suo contesto sociale, economico e culturale.

E culturale evoca immediatamente un respiro ben più ampio di quello strettamente remunerativo e richiama la tanto oggi auspicata economia circolare risorse-produzione-consumo-riparazione/riuso/riciclaggio/ridistribuzione-raccolta-rifiuto (che sostituisce il modello economico lineare risorse-produzione-consumo-rifiuto) della quale si è fatta portavoce Ellen MacArthur, velista inglese detentrice di record mondali, ritiratasi nel 2010 per costruire una fondazione che lavora con le imprese verso questo modello economico. Secondo Ellen, l’economia circolare creerà nuovi posti di lavoro (ne ha stimati 700.000) proprio per lo stimolo di competitività evoluta che premierà le aziende che sposeranno quel modello perché “le aziende che agiscono per qualcosa di più grande rispetto a ciò che vendono, che entrano in sintonia con gli ideali del proprio target e compiono azioni decisive sui temi sociali, creano una relazione con i propri clienti a un livello più profondo”.

Ed è in questa prospettiva che si colloca un linguaggio orientato al mercato come il minimalismo (es. della lampada Costanza Luceplan di Paolo Rizzato, 1986), il design della memoria (es. il bridge degli interni Ferrari di Flavio Manzoni, 2019) e l’ingegno ricercato (es. la sedia Chair One Magis di Kostantin Grcic, 2003). E, soprattutto, vi si colloca  l’ecodesign: “una tecnica d’innovazione, applicabile in fase progettuale al fine di ridurre l’impronta ambientale dell’intero ciclo di vita del prodotto (…) attraverso l’essenza di questa metodologia d’ideazione, ossia il rispetto e la valorizzazione dell’uomo e dell’ambiente che lo circondano”. Il contatto stretto produzione-ambiente che abbiamo tanto promosso come Made in Italy deve quindi arricchirsi del requisito della sostenibilità.

La seconda parte del libro entra più nel concreto con il racconto di esperienze dirette nell’industria dei rivestimenti: rivestimenti nei quali a questo punto si coglie l’essenza del design, anzi dell’ecodesign. Da sempre l’uomo ha capito l’importanza di un rivestimento per impreziosire un materiale poco nobile: dalle terracotte decorate del Neolitico alla maiolica fiorentina, un biscotto smaltato e decorato, o alla foglia d’oro vittoriana e al silver plated. Oggi le nobilitazioni delle superficie sono ancora più numerose e con scopi che vanno oltre l’abbellimento: protezioni da corrosione e ossidazione, da sporco e infiltrazioni, da dissipazione del calore. Ed è in questo preciso contesto di stimoli innovativi che si collocano gli esperimenti di Gian Luca Falleti con le nanotecnologie (che secondo la definizione data nel 1986 da Kin Eric Drexler sono le “tecnologie che consentono di porre ogni atomo laddove si vuole che venga posizionato”) che lo hanno portato a realizzare applicazioni di grande efficacia: dal coating attivo per i cerchioni in magnesio applicato alle monoposto di Formula 1 a soluzioni IR assorbenti e riflettenti, a lubrificanti per motoriduttori, da rivestimenti a base grafene poer la drag reduction a prodotti di sanificazione.

Ma oltre all’intuizione del soggetto, è indispensabile un’adesione al principio di ecosostenibilità di tutto il processo produttivo, lungo l’intera filiera: meno quantità di materiale, meno processi fisici, meno scarti. A questo scopo diventano estremamente utili i nuovi calcolatori dell’impronta carbonica ed idrica.

Molto interessante dal punto di vista storico-industriale è la parte in cui si parla dell’alluminio, della sua predominanza in natura: è il terzo elemento maggiormente presente, dopo l’ossigeno ed il silicio, anche se sottoforma di composto, il solfato di alluminio, ed era conosciuto ed utilizzato dall’antichità per la preparazione di tinture e medicinali. Come materiale usato nell’industria su larga scala è relativamente giovane: dopo vari tentativi nel XIX secolo, solo nel 1886 l’americano Charles Martin Hall e il francese Paul Heroult, indipendentemente l’uno dall’altro, inventarono il primo processo di fusione elettrolitica per la produzione di alluminio metallico dall’allumina. E attualmente è un materiale fra i più ecosostenibili: economico da produrre, riciclabile, pulito, non nocivo.

Il libro di Bonvini è un viaggio verso un mondo di produzione e consumo ecosostenibile ispirato ad un equilibrio fra i requsiti tradizionali di estetica ed usabilità ed i nuovi requisiti di rispetto dell’ambiente. Un viaggio che fa tesoro delle esperienze del passato per dare un senso etico alle prospettive future.