Biassanot, a cura di Camilla Fabbri e Stefano Bonsi (Battaglia)
Biassanot è una parola del dialetto bolognese che significa “il masticanotte”.
E biassanot è Marco, il protagonista di questi racconti scritti da autori diversi, ma tessuti insieme da un fil rouge tanto robusto da essere a sua volta una sorta di racconto trasversale. E questo fil rouge è opera delle quattro mani di Stefano Bonsi e Camilla Fabbri, curatori del libro. Partendo dalla loro esperienza con Brisel, un urban storytelling di Bologna che raccoglie aneddoti, ricordi, desideri e tutto quello che rappresenta la vita della città, hanno realizzato quest’opera nuova, che è nello stesso tempo un romanzo e una raccolta di racconti.
Marco arriva a Bologna sulla scia della suggestione ricevuta dalla lettura di un biglietto anonimo capitatogli fra le mani in mezzo a mille altri: “Carissimo Carlo, spero che questo mi messaggio ti trovi bene. Osteria del Sole, solito tavolo, solita ora, ti aspetto. Un abbraccio. Lucio“. Chi è Lucio? Dalla? A chi dà appuntamento in un bar di Bologna? In quale bar? Perchè? Quando? La sua vita, piatta e isolata, riceve una leggera scossa che produce una deviazione rispetto al solito percorso battuto. Così Marco, vestito del suo io classico, che lo rappresenta per quello che è distinguendolo dalla massa per la sua immagine fuori dal tempo, si mette alla ricerca di qualcuno. O forse di qualcosa. Sera dopo sera, anzi notte dopo notte, frequenta le più famose osterie di Bologna, nell’attesa di incontrare questo Lucio che forse è Dalla o forse no.
In ogni osteria si siede da solo, ordina del Lambrusco, tiene a portata di mano un taccuino e aspetta. Qualcuno, inevitabilmente, si avvicina prima o poi al suo tavolo, beve il suo vino – non prima di essersi sentito chiedere “Lambrusco o Sangiovese?” – e dialoga con lui, fornendo materiale per il suo taccuino. A volte è l’oste stesso, a fine giornata, quando ormai l’ultimo avventore se ne è andato, altre volte è un avventore come lui. E tutti hanno delle storie da raccontare. Spesso non se ne rendono conto, hanno l’impressione di cercare di sapere qualcosa di quello strano ometto, ma alla fine sono loro a narrare di sè. E in un certo senso ne riportano un piacere sottile, nascosto, un delicato senso di conforto.
Altre volte, invece, sono individui travagliati che hanno un disperato bisogno di sfogarsi, una consapevole fame di ascolto e di condivisione. E Marco è lì. Per loro. Ma anche per sè. Perchè è lui, in fondo, il primo ad essersi messo alla ricerca di qualcuno. Forse di se stesso. Come se fosse un vaso vuoto, si appresta a farsi riempire dai racconti della notte degli altri. Racconti che emergono proprio quando il mondo ordinario dorme nelle proprie case, quando le osterie sono quasi chiuse e si trovano in quel limbo in cui esistono solo per chi è un’ombra alla ricerca di se stesso, come Marco: “Tutti sembravano desiderosi di riempire un vuoto. Qualcuno da stupire, qualcuno da accudire, qualcuno a cui parlare. Le storie che continuavo a collezionare parlavano di spazi vuoti. Io li raccoglievo, a uno a uno e con il passare dei giorni riempivo i miei”.
I racconti sono splendidi: tutti diversi perchè il libro non voleva essere un romanzo a più mani, ed ogni autore è stato libero di esprimersi nel linguaggio e nello stile preferito. Così non stupisce e affascina passare dall’ironico oste del primo racconto di Luca Tosi per l’Osteria della Fondazza che se ne esce ad un certo punto con una frase stupenda: “Ammonire qualcuno che sta mentendo può essere una violenza. A volte le bugie riparano le verità fragili” o “Segreti e bugie sono pianeti lontanissimi, ma cugini: un segreto si nasconde, la bugia invece cammina, ma per tener nascosta, in chi la dice, una verità”, al cupo e inquietante racconto allucinato della cinofobia nel secondo racconto di Giovanni Bitetto per l’Osteria Borgonuovo; dal grottesco avventore di Gianluca Morozzi per l’Osteria del Sole che si siede con Marco per raccontargli di improvvisi ritorni di persone defunte che compaiono ai loro nipoti, alla toccante figura della donna del racconto di Silvia Avanzato per l’Osteria del Cappello si esprime con volgarità e bassezza, per celare una fragilità insospettabile; dal tono delicato con cui Francesca Mattei per l’Osteria dello Scorpione rivela un’anima intima e segreta della città al frizzante linguaggio napoletano di Graziano Gala per l’Osteria Infedele al sorprendente colpo di scena delle tre parole che concludono il racconto di Stefano Bonazzi per l’Osteria dell’Orsa; e ancora dal tono graffiante nella denuncia sociale del racconto di Gabriele Galligani per l’Osteria La Frasca alla splendida analisi artistica del Cristo Velato di Santa Maria della Vita di Francesco Spiedo per l’Osteria il Moretto.
La trama trasversale tessuta dalle quattro mani dei curatori collegano questo caleidoscopio di emozioni in un unico romanzo collettivo nel quale, dietro i loro personaggi, ci sono scrittori che sanno cosa significa cercare dentro di sè e cercare negli altri, sanno cosa si nasconde nella nottea e soprattutto quale tesoro socio-culturale rappresentino le storiche osterie di Bologna.