Veloce si presta, di Stefano Badiali (Self-publishing)
Un’opera interessante, importante e di lettura scorrevolissima, per la scrittura empatica e comunicativa dell’autore e la carrellata fotografica di immagini e documenti dell’appendice.
Stefano Badiali ha voluto lasciare un ricordo concreto e condiviso della propria esperienza in Croce Italia, l’antenata del 118 che ha operato negli ’70 e ’80 fino appunto alla nascita del soccorso istituzionale. Il libro si compone di tre parti.
La prima è un’autobiografia “romanzata ma non troppo” dell’autore, che racconta tutta la propria esperienza, partendo dal caso che l’ha portato ad iscriversi a medicina per aver visto il padre di una sua amica soccombere per un infarto quando forse un intervento più tempestivo lo avrebbe potuto salvare all’altro caso che l’ha portato a scegliere, fra le tante opportunità di volontariato assistenziale, quello della Croce Italia “che si distingueva dalle altre per non avere un colore nel nome”.
Giorno dopo giorno, episodio dopo episodio, l’autore capisce che quell’esperienza lo sta formando come uomo e come professionista. Ricorda che fu proprio in seno alla Croce Italia, per la fantasia e le dedizione dei volontari, che si svilupparono nuove tecnologie, come la rete radio realizzata nel 1973-74 per risolvere un problema di concorrenza tra le croci relativamente ai trasporti per dimissione dal Rizzoli e nuove strategie di soccorso come le esercitazioni attuate ad Imola in vista del primo gran premio di San Marino del 1980 o le prime intubazioni di pazienti che consentivano loro di arrivare all’ospedale con qualche possibilità in più. E ancora lo sviluppo di una “consapevolezza situazionale”, “uno dei pilastri della corretta gestione delle risorse, utile soprattutto nei momenti critici di una professione” che si rifletteva, sul piano umano, nel contatto con figure disagiate, emarginate, sofferenti trasformando i volontari in specchi che riflettono prospettive diverse: “Essere lì a raccogliere le richieste di aiuto, muoversi con un’ambulanza per rispondere a queste richieste ti porta ad entrare, a volte, in modo drammatico, nella vita delle persone” e trovarsi a percepire la ‘diversità’ degli altri, dietro la quale incombe l’istinto di mettersi in una posizione di ‘controllo’, di ‘giudizio’; quando invece si dovrebbe riflettere piuttosto sul fatto che essere ‘diverso’ è una condizione nella quale chiunque si può trovare, per una sofferenza che prima non c’era. E quante volte, di fronte agli ammalati agli arresti, si sono sentiti spiazzati nel trovarsi di fronte la sofferenza prima della colpa.
La seconda parte è una raccolta di interviste dei principali operatori volontari e dipendenti. Ad ogni protagonista vengono rivolte più o meno le stesse domande: Quando sei entrato in Croce Italia? Quali episodi ricordi? E dai quei piccoli input si generano storie bellissime, sempre diverse, ma collegate da fili di episodi condivisi e ricordi comuni. Ciascuno col suo tono: il più semplice di chi non aveva studiato, il più strutturato dei laureati. Ma tutti con l’umiltà di avere fatto qualcosa per gli altri sentendo nello stesso tempo di fare qualcosa per sé, di produrre idee e quella curiosità che li “spingeva a capire, epslorare, sperimentare, proporre”. Era l’energià vitale della solidarietà. E tutti ne erano consapevoli. È questo, alla fine, il messaggio pregnante che resta: la crescita umana e professionale che quell’esperienza ha offerto loro.
In tutte le storie palpita un cuore comune che è quello di giovani ancora in cerca di una loro strada, attratti da un’esperienza che sapeva di buono, i quali si sono avvicinati con curiosità, venendo poi praticamente risucchiati da un vortice di passione che – è questa una delle caratteristiche fondamentali e vincenti – non è egocentrica, bensì altricentrica.
Per molti di loro il presupposto fondamentale è stato quello spirito libero, avventuroso e sociale che caratterizzò la gioventù degli anni ’60-’70. Quegli anni Settanta sono stati una sorta di dimensione a sé: “Sicuramente chi ha vissuto quell’esperienza, ha vissuto un’esprienza unica, perché il Far West che c’era non ci sarà mai più”. È quello spirito pionieristico che li ha marcati: la parola curiosità torna e ritorna, perché è stata la molla un po’ per tutti. E se un servizio per nulla o poco retribuito suscita quel sentimento di curiosità proattiva in una generazione giovane ed eterogenea è davvero qualcosa di sorprendente.