L’estate del calabrone, di Diego Popoli (Edizioni Artestampa)
Ci sono quattro ragazzi sulla copertina del libro “L’estate del calabrone”. Sono visti da dietro e si può immaginare che guardino un punto lontano, uguale per tutti ma diversissimo per ciascuno: il loro il futuro. Sono adolescenti e in questo gesto c’è il senso della crescita, del raggiungimento di quella tappa dell’esistenza in cui è necessario fare i conti con il prima e cominciare a pensare al dopo. E’ infatti il primo giorno dell’ultimo anno delle scuole medie, un giorno che ricorda ciò che è stato e intimorisce per ciò che sarà. Lo esprime benissimo il dialogo interiore del protagonista della storia: “L’ultimo primo giorno di scuola. E poi? L’ultimo primo compito in classe di matematica. L’ultima prima pagella del primo quadrimestre. L’ultima prima interrogazione di storia e l’ultima prima nota sul diario, prima dell’ultimo, ultimo giorno. Da lì in poi niente sarebbe più lo stesso. Un mondo nuovo, al di fuori del nostro mondo, era lì ad attenderci. La prossima estate si sarebbe portata via tutto. Io quella me la sarei ricordata come l’estate del calabrone.” Coprotagonista del libro è il passato con i suoi ricordi e dunque quell’ andare indietro nel tempo provando il piacere di raccontare un leggendario “come eravamo” racchiuso nei versi “Beati ricordi irrompono / tristemente invadendo / antica memoria…” Nei vari capitoli si alternano episodi pieni di visi, nomi, luoghi e oggetti, tutti chiamati a esplorare la memoria, a cercarvi ferma immagini accarezzati dallo sguardo amaro e saporito della nostalgia. La scrittura è sempre densa e porta i contenuti su diversi livelli: se da un lato c’è un passato amatissimo tutto da ripercorrere, anche nelle sue pagine più tristi, dall’altro emerge un presente pronto a sbocciare da queste radici che sono i luoghi, gli amici, la famiglia, la scuola, il cortile e la bicicletta rossa, quella che “… una più bella al mondo non ce n’era.” Anche quando lo scrittore si sofferma a descrivere un gioco da ragazzini, è la tenerezza del ricordo che incornicia quel momento come fosse un’immagine scattata da una mano invisibile. Quanto al titolo, il calabrone che vola tra i giorni di un passato impossibili da rivivere, nasce dalla suggestione di alcune parole di Italo Calvino sul rapporto tra una sinuosa farfalla e un calabrone nero come l’inchiostro. Il brano disegnato da Calvino per la sua amata Elsa de Giorgi, è ripreso nello scritto misterioso di uno dei ragazzi del gruppo, simbolo di un amore impossibile, rimpianto di un’età troppo presto finita. Tutte le vicende narrate vengono raccontate come imprese e avventure di spessore per cui è inevitabile pensare al romanzo “I ragazzi della via Pal ” e al film “Stand by me”. In quest’ultimo, tratto da un racconto di Stephen King, ritroviamo le intrepide tracce di quattro ragazzi che partono per un viaggio iniziatico destinato a condurli dall’infanzia all’adolescenza attraverso esperienze e prove che sono vere lezioni di vita. E allora le immagini di un passato felice si stemperano nel labile passaggio di un ricordo che non sarà solo quello di un’estate, ma di un intero arco di vita.