Drammi quotidiani, di Paolo Panzacchi (Pendragon)

Drammi quotidiani, di Paolo Panzacchi (Pendragon)

Comincia come uno spassoso ed irresistibile quadro di vita quotidiana di una tipica famiglia di oggi, con i suoi “drammi quotidiani”: le esigenze di lavoro della coppia che comportano un coinvolgimento del marito nelle faccende domestiche – dalla preparazione del pranzo allo svuotamento della lavastoviglie, dal carico della lavatrice alla raccolta differenziata -, la rincorsa dietro agli impegni imposti da una moglie in carriera e da un’impetuosa figlia piccola (riunioni dell’asilo, sport); e ancora le cene con amici, con i suoceri, con i colleghi di lavoro, gli inconvenienti comuni di un piccolo incidente domestico o di un’influenza che dovrebbero porre un fermo alla frenesia quotidiana ma che invece non sono quasi permessi, perché il flusso delle necessità di una famiglia non si arresta e trascina inesorabilmente nel suo percorso a dispetto di stanchezza, malessere, rabbia e frustrazione.

In tutto questo, Panzacchi, con uno stile umoristico perfetto, travolge senza freni, divertendo chiunque riesca a riconoscersi in questa successione di scenette familiari. Qualche esempio? Chi non si ritrova in questa pudica confessione? “Io e il concetto di ordine qualche anno fa abbiamo litigato, niente di grave, eh, qualche discrasia sui fondamenti di base; beh, lui si è incazzato e mi ha mollato, quindi la mia scrivania ora è ordinato come un tavolo alla fine di un ricevimento di nozze lucano di circa ventisei ore, aperitivo compreso”.

Ma il romanzo non si limita a questo, l’autore non vuole solo far ridere i suoi lettori, li vuole anche far riflettere, mettere in guardia da reazioni che possono avere conseguenze irreversibili.

Di punto in bianco, il registro narrativo cambia: da limpido, lieve e ironico, si trasforma in profondo, drammatico, cupo: il protagonista smette di vedere ogni cosa della sua vita sotto l’aspetto comico-farsesco e cede allo sconforto, alla frustrazione, alla voglia, anzi, al bisogno di cambiare.
Improvvisamente la prospettiva dalla quale fino a quel giorno aveva guardato la propria vita cambia, si egocentrizza: non è più quella dei propri familiari amati anche nei loro difetti e nelle loro fragilità, non è più quella di un contesto sociale che ha sì delle forzature, delle regole convulse e a volte ridicole, ma che è inevitabilmente il contesto sociale di oggi che ci avvolge nel bene e nel male; si restringe esclusivamente intorno a sé, alla propria stanchezza, al proprio senso di incomprensione da parte degli altri, all’insidioso sentimento della solitudine: “Chi vince oggi è la solitudine (…). Carriera, soldi, mutuo, angoscia, tempo che non c’è, rate della macchina, asili nido, insomma tutto, tutto e subito, ora, adesso, assolutamente tutto altrimenti saremo solo emarginati e nessuno si accorgerà della nostra presenza. Noi esistiamo perché ci tagliamo il respiro con le nostre azioni costanti, ripetute. Routine, solo routine: uscire dal seminato ci fa impazzire. Pausa, abbiamo bisogno di una pausa…no, se ti fermi sei perduto. Ecco, se queste cose te le ripeti con i ritmo giusto, un paio di volte al giorno, ti rendi conto del perché si sia sempre soli nel nostro tempo. Non ci si può lamentare, chi si lamenta non è allineato, non ha capito, è solo un peso, non puoi lagnarti, devi tenere duro perché sei padre, madre, genitori, imprenditore, professionista, soggetto che delle responsabilità e sei ti fermi non sei d’esempio per chi ti guarda”.

E lui…si ferma…